Catalfo, piano in 4 punti: meno ore a parità di salario e staffetta generazionale.

Il rimbalzino dell’occupazione fa piacere al governo, ma non lo illude che la situazione si possa aggiustare da sé. Troppo profonde le ferite che la pandemia ha inferto al mercato del lavoro e grandi le trasformazioni richieste. «Siamo consci che molto resta da fare», dice la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (5 Stelle). Si tratta di sostituire gli interventi tampone con misure strutturali. Serviranno tanti soldi. Per questo il governo ha subito chiesto i prestiti Ue del programma Sure. All’Italia arriveranno 27,4 miliardi. Ma non basteranno neppure a coprire la spesa per ammortizzatori e bonus del 2020, stimata in 30 miliardi. Catalfo sta quindi preparando un piano in 4 punti in vista del Recovery plan che il governo presenterà a Bruxelles il 15 ottobre per accedere ai 209 miliardi tra prestiti e trasferimenti che spetterebbero all’Italia. Un piano ambizioso, che punta ad ottenere almeno 20-25 miliardi, ma che rischia di entrare in rotta di collisione con la Confindustria, per esempio su temi spinosi come la riduzione, in determinati casi, dell’orario a parità di salario e la staffetta generazionale. E non mancheranno tensioni nella maggioranza e con il Tesoro, che ancora non ha ricevuto le proposte della ministra.

Il Fondo nuove competenze

Il primo dei 4 capitoli del piano Catalfo riguarda le Politiche attive e la formazione. Obiettivo: «Traghettare le transizioni occupazionali». Aiutare cioè chi perderà il lavoro in settori colpiti dalle conseguenze della pandemia a trovare posto nei nuovi lavori, in particolare nel digitale e nell’economia green. Base di partenza è il «Fondo nuove competenze» del decreto Rilancio, potenziato col dl Agosto. Per ora ci sono a disposizione «solo» 730 milioni per il biennio 2020-2021, per finanziare, con accordi tra le parti, la destinazione di una quota di orario alla formazione per la ricollocazione, senza riduzioni di salario. Catalfo punta a rafforzare sia questa misura sia forme contrattuali di solidarietà espansiva: cioè taglio dell’orario eventualmente compensato sulla retribuzione dallo Stato a patto che l’azienda aumenti l’organico. L’idea — se ne parla in Germania, con la proposta della settimana di 4 giorni — è quella, cara ai sindacati, di lavorare meno lavorare tutti. Senza costi per le imprese e a parità di retribuzione. Esperimento mai riuscito. Il secondo capitolo è la riforma degli ammortizzatori sociali su due strumenti: uno di protezione temporanea per i lavoratori di aziende con prospettive e uno per chi invece perde il lavoro, ma condizionato alla partecipazione alle attività di ricollocamento, da potenziare. Il terzo capitolo prevede incentivi alle assunzioni delle donne: percorsi formativi ad hoc; rafforzamento degli asili, dell’assistenza per i non autosufficienti e dei congedi parentali per sostenere le lavoratrici madri; incentivi per le imprese che riducono le differenze di retribuzione tra uomini e donne. Infine, l’occupazione giovanile: potenziamento dell’apprendistato e del sistema duale per rafforzare il collegamento tra scuola e impresa e la staffetta generazionale incentivata per favorire il ricambio tra lavoratori anziani e giovani. Anche questo un esperimento mai riuscito.

Scomparsa di Cesare Romiti.

La scomparsa di Cesare Romiti riporta per noi CIU-Unionquadri alla costante memoria del14 ottobre 1980, data della famosa marcia dei quarantamila che portò per la prima volta a manifestare i colletti bianchi, impiegati, quadri, contro i picchettaggi che da 35 giorni impedivano di entrare in fabbrica al lavoro. Manifestazione cui Romiti dette il suo placet ed il suo appoggio comprendendone da subito il significato politico. Il corteo “silenzioso” che attraversò Torino segnò la svolta nelle relazioni sindacali modificandole profondamente con il cambiamento dei rapporti tra sindacato, imprenditoria, politica e dell’intero quadro sociale.  Dopo tanti anni la CIU-unionquadri con la sua ininterrotta presenza al CNEL, presidia ancora la tutela degli interessi della categoria e delle problematiche che si presentano con le trasformazioni del mondo del lavoro in continua evoluzione.

Gabriella Ancora

Presidente Nazionale CIU

Lavoro. La ministra Catalfo: «Ora sussidi legati alle politiche attive».

Lavoro. La ministra Catalfo: «Ora sussidi legati alle politiche attive».

«Stiamo cercando di compiere ogni sforzo possibile per cercare di riportare in azienda il lavoratore il cui posto è rimasto in “sospeso”». Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro, ha ascoltato l’appello di domenica di papa Francesco e assicura il massimo impegno del governo nell’affrontare la questione occupazionale in questa fase postemergenza: «Giustamente il Pontefice tiene insieme il lavoro e la famiglia, questioni strettamente legate che per noi rappresentano un’assoluta priorità. In particolare sul lavoro siamo pronti a puntare su strumenti concreti che potenzino le politiche attive».

Ministra, con la fine del “divieto di licenziare” e quando terminerà la cassa integrazione come si evita una pensante crisi occupazionale? Nella primissima fase dell’emergenza con gli ammortizzatori sociali e lo stop ai licenziamenti abbiamo fatto sì che si tutelassero milioni di posti lavoro e le attività di migliaia di imprenditori, come hanno dimostrato studi nazionali e internazionali. Ora dobbiamo continuare ad accompagnare le imprese con l’utilizzo di ammortizzatori sociali, offrendo però alle realtà produttive anche la possibilità di riportare il lavoratore in azienda con una decontribuzione al 100%. Con un percorso graduale dobbiamo passare da politiche passive a misure attive.

Oltre alla decontribuzione quali strumenti utilizzerete?
Nel Dl Agosto potenzieremo il Fondo nuove competenze, introdotto nel Decreto Rilancio con l’articolo 88, con altri 500 milioni portando il totale a 730 milioni. Grazie a questo fondo le imprese potranno rimodulare l’orario di lavoro dei propri dipendenti destinando parte di esso alla loro formazione: questa parte dell’orario verrà retribuita dallo Stato. Così, attraverso un mix di misure, pensiamo di favorire la ricollocazione e la riqualificazione e di garantire il più possibile i livelli di occupazione. A ciò si aggiungerà un esonero contributivo al 100% della durata di 6 mesi per nuove assunzioni a tempo indeterminato. E insieme al ministro Franceschini stiamo studiando un ulteriore esonero contributivo di 3 mesi per le assunzioni dei lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali.

È appena terminato il primo tavolo sui rider con sindacati, associazioni e imprese. Si riuscirà ad arrivare a un contratto collettivo nazionale entro quest’anno?
Il primo traguardo lo abbiamo raggiunto con la norma contenuta nel Dl Imprese. Ora l’obiettivo è quello di riuscire a tagliare quello del contratto collettivo nazionale entro il 2020. Il primo confronto è stato positivo e ora ci rivedremo nella seconda settimana di settembre per un nuovo round. Finora comunque sono stati fatti passi avanti importanti sulle tutele, a partire dal riconoscimento dell’assicurazione Inail, e anche a livello europeo siamo uno dei Paesi all’avanguardia su questo punto. Continueremo a lavorare per regolamentare ulteriormente questa tipologia di lavoro di cui abbiamo toccato con mano l’importanza anche nei mesi duri del lockdown.

Come risponde a chi sostiene che il Reddito di emergenza non abbia funzionato?
Dico che ha funzionato e anche bene. Ci sono state più di 200mila famiglie che hanno usufruito di questo fondo e altrettante richieste sono in fase di valutazione dell’Inps. Al 29 luglio sono 574.005 le domande pervenute. In totale, considerando che sono nuclei familiari, parliamo quindi di circa un milione e 400mila persone interessate. Significa che l’emergenza, sottolineata anche dall’Anci, aveva un fondamento. Nella maggioranza stiamo valutando di allungare i tempi per effettuare la domanda oltre il 31 luglio per coloro che sono rimasti esclusi.

Anche sullo smart working si procede a colpi di proroga. Serve una regolamentazione?
Sullo smart working prima dell’emergenza l’Italia era in ritardo rispetto a tanti altri Paesi, poi improvvisamente ci siamo ritrovati con 2 milioni di persone occupate da remoto e possiamo dire che l’esperimento ha funzionato bene. È chiaro che è una modalità di lavoro che garantisce nuove opportunità e maggiore flessibilità; ma bisogna fare attenzione. Non deve essere, per esempio, un modo per tornare indietro per le donne nella conciliazione con il lavoro domestico e di cura. Sarà importante lavorare, anche attraverso il confronto con sindacati e aziende, per regolarizzare lo smart working con diritti (compreso quello alla disconnessione), tutele e regole chiare. Tenendo ben presente che non sarà lo smart working l’unica modalità di lavoro del futuro.

Al centro della sua agenda c’è la riforma degli ammortizzatori sociali. Quale direzione vuole seguire?
Bisognerà distinguere tra ammortizzatori sociali per lavoratori di imprese che si ristrutturano e cambiano pelle in base alle esigenze del mercato e sostegni indirizzati invece a persone occupate in realtà destinate a cessare l’attività. L’impianto della riforma sarà orientato verso un sistema universalistico, che protegga tutti i lavoratori tenendo conto delle specificità di settore e della dimensione delle aziende, e che punti sulla formazione e riqualificazione del lavoratore. Quindi: più politiche attive e meno passive. Vogliamo una riforma che arrivi in tempi rapidi e che sia condivisa con le parti sociali.

Dagli ultimi segnali che arrivano dal mercato del lavoro dobbiamo aspettarci un autunno caldo?
Ho costituito un osservatorio sul mercato del lavoro per monitorare quasi giornalmente i dati e capire come muoversi. In realtà, considerato il periodo duro e delicato, stanno arrivando segnali di ripresa da non sottovalutare. Dal 15 giugno, per esempio, abbiamo visto aumentare di 150mila i contratti a tempo determinato in particolare nel settore del turismo e al Sud, Isole e regioni del Nord Est, recuperando così almeno una parte dei rapporti di lavoro stagionali andati persi con il Covid.

L’Europa, i fondi del Recovery Fund: (E ai giovani chi ci pensa?).

DOPO IL RECOVERY FUND

L’Europa, i fondi del Recovery Fund: (E ai giovani chi ci pensa?)

Della vita di Antonio Serra, economista vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, sappiamo ben poco. Sergio Ricossa, in un delizioso libretto ( Cento trame di classici dell’economia , Rizzoli), ipotizzava che per scrivere il suo Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro e d’argento dove non sono miniere , Serra si fosse avvalso della sua grande personale esperienza monetaria. Di falsario. Il Trattato fu scritto in prigione, dove probabilmente era tenuto per ragioni politiche. La sua lezione, contraria al mercantilismo imperante dell’epoca, è di grande attualità. Il benessere è legato all’operosità dei popoli, non alla disponibilità momentanea di capitali. Le miniere sono l’impresa, il lavoro, la creazione di reddito. L’afflusso di oro e argento, successivo alla conquista dell’America, aveva impigrito le popolazioni dell’Europa meridionale, in particolare la Spagna, condannandole alla stagnazione, mentre nel resto d’Europa nasceva il capitalismo protestante. Serra, ricordava Ricossa, si opponeva all’eccessivo interventismo dello Stato e a manovre pubbliche «che mirassero a violentare il mercato».

Ora Serra non è certamente una lettura del premier olandese Rutte e degli esponenti dei Paesi frugali (che potrebbero approfittare per darci anche dei falsari) ma può aiutarci a riflettere un po’ di più sui nostri guai e sulle opportunità che abbiamo davanti. In primo luogo, non dovremmo considerare la grande massa di risorse che avremo a disposizione, grazie all’Unione europea, alla stregua di una cornucopia, di un tesoretto da suddividere per non scontentare nessuno. O peggio per risarcire tutti. Non solo dal Covid (e questo va bene) ma anche per errori e colpe che con il virus nulla c’entrano. Gran parte dei capitali che affluiranno saranno stati presi a debito, e quindi andranno restituiti.
Una parte del debito comune emesso dall’Ue – un sostanziale passo avanti nella costruzione solidale della Comunità – sarà ripagato con la cessione di base imponibile (esempio plastic tax e carbon tax), cioè con potenziali risorse future, anche italiane, messe a disposizione di tutti. Non ci sono dunque pasti gratis. Anche i grants hanno giustamente la loro condizionalità. Tutte le risorse di cui parliamo, in linea di principio e di fatto, appartengono alle prossime generazioni. E non a caso, il programma di investimenti da 750 miliardi, si chiama Next Generation Eu . Dunque, la prima cosa da evitare, è di cedere agli impulsi corporativi disseminati in tante dichiarazioni di questi giorni. E di non pensare che l’elevato ammontare delle risorse consenta di chiudere un occhio su cifre, anche piccole, che sembrano – a detta di chi le chiede – semplicemente indispensabili, irrinunciabili, giuste. E, soprattutto, trascurabili di fronte all’ammontare di 209 miliardi. «Che cosa volete che siano due miliardi se vi apprestate a riceverne cento volte in più?».

 

Questo ragionamento ci porterebbe dritti al disastro. Rischia di finanziare il passato, non l’investimento sul futuro. Salvaguardare per qualche tempo un’attività decotta, anziché promuoverne una che ha futuro. Trasferire reddito, non crearlo. Illudersi che lo Stato riesca dov’è fallita l’impresa privata. E un tale errore rappresenterebbe una sicura condanna per i nostri giovani, cioè dei nostri figli e nipoti che non possono minacciare blocchi delle città, non inscenano proteste contro questa o quella misura di politica economica. Non rappresentano una constituency elettorale. Contano zero.
In questa prospettiva anche ridurre il peso della tassazione sul lavoro, usando i fondi europei, è un non senso. Per evitare che scatti, insidiosa, la sindrome de li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere , va detto chiaramente che manovre di questo tipo vanno finanziate sul bilancio nazionale. Matteo Salvini, parlando in Senato dopo le comunicazioni del premier Conte sull’esito del vertice di Bruxelles, ha detto che i voti della Lega non mancheranno se il governo varerà la flat tax. «Se hanno trovato i soldi, 200 miliardi, la proposta di flat tax che per noi è fondamentale ne vale appena 13 miliardi». Dunque, che ci costa?

 

Il peggior danno alle prossime generazioni sarebbe tagliare le tasse in deficit, come purtroppo fatto nel passato da governi di destra e di sinistra, anche recentemente. Se si ritiene necessario riordinare la fiscalità, obiettivo assolutamente condivisibile, lo si faccia con i soldi di questa generazione e in un’ottica moderna. In linea con il Green new deal europeo che non è una spruzzata di «verde» sul solito modo di fare business, ma – come dice la Commissione europea – una nuova strategia di crescita. Per esempio, si dica quali spese inutili tagliare (ma chi ne parla più?) o come accelerare la diminuzione dei 19 miliardi annui di sussidi dannosi dal punto di vista ambientale che per legge vanno azzerati entro il 2025.

Se poi abbiamo davanti un’occasione storica, possibile che l’unico criterio da seguire sia quello di decidere in fretta? Il rischio reale è che la fretta sia una cattiva consigliera e si finisca per ascoltare troppo le istanze delle categorie. Tutte legittime, per carità, ma non tutte traducibili in un buon investimento per il futuro. L’importante è fare bene. I fondi europei verranno distribuiti nell’arco temporale tra il 2021 e il 2025. La qualità e la serietà dei progetti farà la differenza. E la deve fare soprattutto per le prossime generazioni. Dunque, l’analisi sull’impatto degli investimenti sul benessere futuro, sulla sostenibilità sociale e ambientale delle misure, saranno le prove più importanti da superare. Le regole per dichiarare accettabili i progetti sono giustamente stringenti. Prevedono una valutazione d’impatto ex ante sulle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile dei singoli progetti, mentre il loro contributo alla transizione ecologica e alla digitalizzazione è una precondizione per essere valutati.

 

Dunque, la politica dovrebbe discutere, prima di tutto, di come pensa di dotarsi di strumenti adatti per fare proposte sensate. Quali strutture pubbliche dovrebbero fare le valutazioni. Quali procedure si intendono seguire. In particolare, si dovrebbe decidere se adottare una valutazione dell’impatto intergenerazionale. Sarebbe una novità straordinaria, un incredibile salto di qualità del Paese. E dunque decidere di avviare finalmente la discussione sulla proposta di riforma costituzionale che giace in Parlamento per introdurre il principio dell’equità intergenerazionale alla base dello sviluppo sostenibile. Il presidente del Consiglio Conte aveva inserito il tema nel discorso programmatico per la fiducia del suo secondo governo. L’approvazione in prima lettura della legge costituzionale da parte del Senato entro la fine dell’anno sarebbe un segnale forte all’Italia, ma anche all’Europa. Una vera svolta.

 

Diciassette associazioni giovanili, attraverso futuranetwork.eu, hanno lanciato l’idea degli Stati generali dei giovani. «La pandemia – si legge nel loro documento – ha inasprito le disuguaglianze sociali e geografiche preesistenti. Al contempo, ci troviamo dinanzi una fase di transizione che presenta nuove opportunità che potrebbero, se sfruttate con lungimiranza e prontezza, riportare al centro dell’attenzione temi quali gli investimenti nella scuola e nella ricerca, l’occupazione giovanile, la necessità di uno sviluppo che si concentri sui temi della sostenibilità e dell’innovazione». Speriamo vengano ascoltati. Non sono una lobby. Non offrono in cambio dei voti, né relazioni di potere, ma solo l’impegno a cambiare l’Italia. Altri, loro coetanei, se ne sono semplicemente andati. Cercando altrove le miniere del loro futuro.

 

 

Intervista a Luigi Nicolais – Nicolais: «Per il Sud utili i fondi dell’Ue ma con progetti seri» – «Aiuti europei utili al Sud ma ora progetti credibili»

Intervista a Luigi Nicolais – Nicolais: «Per il Sud utili i fondi dell’Ue ma con progetti seri» – «Aiuti europei utili al Sud ma ora progetti credibili»

Effetto pandemia anche sull’imprenditoria femminile.

(c.d.c.) Un milione e 340 mila aziende guidate da donne hanno contribuito al 75% dell’incremento complessivo delle imprese presenti sul territorio. L’effetto Covid ha però fermato questa dinamica, tanto che tra aprile e giugno, le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne hanno registrato un calo del 42,3% (-10 mila) rispetto al 2019. «Questo rallentamento — dice il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli — rivela che il peso più rilevante in quelle fasi difficili ricade sulle spalle delle donne».