Intervento del nostro rappresentante CIU Unionquadri al Consolato Italiano a Boston.
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/04/WhatsApp-Image-2025-04-03-at-14.59.53.jpeg11851004zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-04-04 10:20:132025-04-04 10:20:14Dal nostro rappresentante CIU Unionquadri negli Stati Uniti, Avv. Francesco Rizzo Marullo
“La Sostenibilità e le pratiche di benessere lavorativo, la Direttiva 2022/2464/UE: Clima e riconoscimento, l’inclusione comincia dall’empatia, non dalle policy”
Con questo contributo dell’avv. Andrea Musti e di Simone Cerlini, pubblicato sulla rivista Guida al Lavoro N. 12 del 27-3-2025 del gruppo Il Sole 24 Ore, si è voluto affrontare il tema del benessere lavorativo alla luce delle politiche sulla sostenibilità, come enunciate dalla direttiva europea CSRD.
Com’è noto, la direttiva 2022/2464/UE (CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive) si inquadra nell’ambito del Green Deal Europeo ed è finalizzata alla promozione della trasparenza e alla divulgazione di informazioni da parte delle Aziende circa gli impatti ambientali, sociali e legati alla governance (ESG) delle loro attività, mediante il rafforzamento degli obblighi di reporting da parte delle imprese.
Partendo dal Considerando 17 della Direttiva in base al quale: “Le informazioni sulla sostenibilità dovrebbero comprendere informazioni sugli intangibili, compreso il capitale umano, sociale e relazionale, e altre informazioni sulle attività intese a garantire la parità di trattamento, la parità di genere, la formazione e lo sviluppo delle competenze, il rispetto dei diritti dei lavoratori, il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori, nonché informazioni sulla cultura aziendale.”
Gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) adottati da EFRAG, declinano la CSRD in obblighi concreti, e con gli indicatori GRI relativi al capitale umano e alle pratiche di benessere lavorativo. Anche la norma ISO 30415:2021 sulla diversity & inclusion offre una cornice operativa chiara, che prevede la valutazione delle barriere culturali e l’impegno sistemico della leadership nella promozione dell’inclusione.
Tuttavia, il quadro normativo europeo è ancora in evoluzione.
Infatti, il 26 febbraio 2025, la Commissione UE ha presentato, nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto omnibus I”, due proposte legislative per semplificare gli obblighi informativi in materia di sostenibilità. L’annuncio era stato anticipato nella “Bussola della competitività”, il documento di orientamento legislativo della Commissione per l’attuale legislatura.
Questi segnali mostrano quanto il tema sia ancora aperto e oggetto di tensioni tra esigenze di trasparenza e istanze di semplificazione.
Si è cercato quindi di evidenziare il nodo culturale che merge dalla analisi:
Infatti, al di là dei vincoli normativi, rimane il nodo culturale su quale idea di organizzazione si intende costruire. Inclusione e riconoscimento invero non sono questione di compliance, ma di creazione di valore in azienda.
Nei bilanci di sostenibilità, integrati, sociali o di genere, è spesso citato un obiettivo, che assume diverse forme, ma nella sostanza è riconducibile a “costruire un clima di lavoro inclusivo, dove ciascuno si senta valorizzato, coinvolto e rispettato.”. Tra la policy e la pratica, c’è un passaggio invisibile e fondamentale, spesso trascurato: la qualità dell’ascolto. Ed è da lì che passa la possibilità di una vera inclusione. Il senso pieno della CSRD.
La competenza chiave, che non è solo una qualità personale, ma un atteggiamento che si può apprendere, è l’empatia. Ed è qui che le leadership si giocano la differenza tra gestire e guidare, tra ottimizzare e generare senso. L’empatia non è un sentimento astratto, ma un approccio che rende possibile la collaborazione, come direbbe Sebastiano Zanolli (Lavorare è collaborare, ROI Edizioni, 2024), perché fa percepire alle squadre il riconoscimento da parte del manager delle qualità individuali, del contributo di ognuno all’innovazione e al miglioramento continuo, fino alla dignità nel partecipare insieme alla costruzione di regole comuni.
L’autore Riccardo Maggiolo (nel suo “Lavorare è da boomer” pubblicato su Senza Filtro, 2024) evidenzia una frattura generazionale e culturale. Da una parte, organizzazioni ancora impastate di rituali stanchi, in cui l’inclusione è una parola d’ordine da retrocopertina; dall’altra, una nuova generazione che chiede relazioni vere, riconoscimento, ascolto, possibilità di incidere. Si tratta anche di attrarre e trattenere talenti, certo, ma quest’obiettivo passa dal ripensare il lavoro come esperienza di senso.
Ma come si concretizza tutto questo, oltre i principi? Esistono pratiche organizzative, anche diffuse, che possono fare la differenza.
Le buone pratiche organizzative
Ad esempio, chiedere ai manager di registrare i feedback dei collaboratori non è burocrazia, è costruzione di memoria organizzativa. Significa innanzitutto costringere all’ascolto di ogni singolo membro del team, poi dare dignità a ogni sollecitazione, tracciare i segnali deboli, non disperdere intuizioni e domande. Oppure, introdurre survey regolari sul benessere organizzativo, non per accumulare dati, ma per mettersi in discussione come contesto relazionale: come si sta davvero qui dentro? Cosa si respira? Cosa fare per migliorare? E ancora, premiare i responsabili che fanno crescere le persone, che valorizzano anche a costo di perdere le risorse migliori perché li si fa progredire nell’organizzazione e nella carriera. Perché lo sviluppo organizzativo è possibile attraverso lo sviluppo e la crescita delle persone. A volte è difficile lasciare andare quelli bravi, ma il bene dell’azienda spesso richiede di lasciarlo prendere il volo.
In conclusione
Una cultura inclusiva non si fonda solo sull’equità di trattamento, ma sulla disponibilità al cambiamento. E questo cambiamento non sempre nasce dall’alto: spesso prende forma da un’inquietudine, da un gesto laterale, da una proposta inaspettata. L’inclusione, insomma, non è una concessione, ma una scelta relazionale: riconoscere valore all’altro anche quando esce dallo script.
L’empatia, in fondo, è la forma più radicale di responsabilità organizzativa. Perché mette in discussione l’autosufficienza dei ruoli, la rigidità dei processi, la presunzione di sapere già tutto. Ci ricorda che l’identità di un’organizzazione – la sua vera forza – si costruisce nella relazione, nel riconoscimento reciproco, nella capacità di ascolto. Non basta scriverlo nei documenti: serve viverlo ogni giorno, in ogni scambio, in ogni gesto che trasforma un luogo di lavoro in una comunità che apprende.
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/cropped-Logo-CIU-Ufficiale-.jpg512512zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-04-02 12:31:132025-04-02 12:31:21Contributo dell'Avv. Andrea Musti - Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati.
Hanno preso parte all’iniziativa il vicepresidente Risso e il consigliere Riva
01 APRILE 2025
Si è svolto oggi un incontro tra il CNEL e il Consiglio generale degli italiani all’estero. L’iniziativa, cui hanno preso parte il vicepresidente Claudio Risso, il consigliere Francesco Riva e una delegazione di dirigenti e funzionari del CNEL, rientra in una serie di incontri istituzionali che il Comitato di Presidenza del CGIE sta svolgendo in questi giorni, in vista dell’Assemblea plenaria prevista per il prossimo giugno.
Molti i punti toccati nel corso della riunione, dal fenomeno della fuga dei cervelli agli incentivi per il rientro di chi è espatriato, dalle politiche per contrastare lo spopolamento dei piccoli borghi agli interventi a supporto delle aree interne. Un tema quest’ultimo su cui il CNEL – come ha ricordato il vicepresidente Risso – sta lavorando per la messa a punto di un disegno di legge specifico.
“Il nostro obiettivo – ha sottolineato Risso – deve ruotare intorno al concetto di opportunità. Vanno create le condizioni perché chi si è trasferito all’estero e vuole tornare abbia l’opportunità reale di farlo. È fondamentale valorizzare l’apporto delle comunità degli italiani all’estero e il CNEL può essere il luogo giusto per questo. È necessario anche un impegno dal punto di vista culturale. La questione degli italiani all’estero non può essere attenzionata solo in campagna elettorale. Dobbiamo stabilire un rapporto costante con le comunità, approfondirne la conoscenza e fare qualcosa di concreto intervenendo su tematiche specifiche. Da questo punto di vista c’è tutta la nostra disponibilità”.
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/04/WhatsApp-Image-2025-04-01-at-17.22.40-1-800-800-p-L-97.jpeg600800zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-04-02 12:02:282025-04-02 12:03:03IL CNEL INCONTRA IL CONSIGLIO GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/04/DET.36-2025_001.png842587zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-04-01 16:09:502025-04-01 16:09:50Avviso pubblico per il conferimento di n. 6 borse di studio a supporto delle attività del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro- Riapertura termini per la borsa di studio a supporto delle attività dell'Ufficio V
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/03/Documento1_001.png842595zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-03-24 16:49:412025-03-25 16:27:00MOBILITÀ 2025 PERSONALE DOCENTE SOSTEGNO SU POSTO COMUNE
Da CIU-Unionquadri una proposta di legge che punta a definire i contorni giuridici e giuslavoristici di un profilo sempre più strategico per il sistema imprenditoriale nazionale e internazionale
Regolamentare la figura del data protection officer (Dpo) per garantire un’adeguata tutela dei dati personali e potenziare la sicurezza di imprese e cittadini. Puntando su un ventaglio di norme che, dalle competenze fino all’imparzialità del ruolo, siano in grado di definire con chiarezza i contorni giuridici, giuslavoristici ed economici di un profilo professionale ormai sempre più importante per la compliance aziendale e sempre più integrato nei vari settori del tessuto imprenditoriale europeo. Questo l’input al centro del convegno promosso e organizzato da CIU Unionquadri (Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali) e Comitato economico sociale europeo (Cese), «Data protection officer: ruolo e riconoscimento normativo. Verso una proposta di legge normativa», in collaborazione con Centro studi sul management e il lavoro (Cesmal), Centro studi Corrado Rossitto e Centro europeo di studi culturali.
La ricerca
A confermare il valore imprescindibile del Dpo anche i risultati della ricerca condotta da CIU-Unionquadri (membro del Cnel e del Cese) e Cesmal, che sarà presentata oggi nella cornice di Spazio Europa e si propone di capire come il data protection officer sia reclutato, utilizzato e incluso nel sistema impresa.
Su un campione di 100 aziende italiane – attive sia in ambito pubblico sia in ambito privato e che per legge devono avvalersi del Dpo (articoli 37-39 del Gdpr), il 95,7 per cento lo ha introdotto nel proprio organico. Una scelta che, al di là dell’aderenza al diktat normativo, strizza l’occhio a una maggiore consapevolezza del valore della privacy e della riduzione dei rischi, al miglioramento della reputazione aziendale e a una responsabilità tanto sociale quanto etica. Valori più o meno comuni a tutte le imprese considerate, per la maggior parte operative nell’ambito tecnologico (41 per cento), finanziario (16 per cento) e sanitario (13 per cento).
Poche sorprese sul fronte del genere: dietro alla scrivania, anche in questa posizione, si trovano molti più uomini (80,4 per cento) che donne (19,6 per cento). Un risultato che dimostra come gli stereotipi incidano pesantemente sulla distribuzione della leadership, soprattutto in contesti fortemente tecnologici come quelli delle aziende intervistate, dislocate prevalentemente al Centro (50 per cento) e al Nord (43 per cento), con una quota minoritaria al Sud (7 per cento).
Quanto, invece, al reclutamento, sono molte di più le imprese che scelgono di reclutare i propri Dpo dall’esterno (60,9 per cento) e prevalentemente dal settore legale (59,8 per cento) rispetto a quelle che affidano la mansione a dipendenti già assunti (39,1 per cento). In primis per necessità legate al budget a disposizione, poi alla complessità della gestione dei dati e alle risorse disponibili.
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/03/images.png125402zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-03-20 13:10:212025-03-20 13:10:21Privacy, regolamentare la figura del Dpo per tutelare la sicurezza delle aziende.
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/03/WhatsApp-Image-2025-03-20-at-09.03.01.jpeg20481565zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-03-20 13:00:212025-03-20 13:00:22Montenegro intervento del Prof. Maurizio Mensi Cons. CIU Unionquadri al CESE
Roma, 19 marzo 2025 – Si è svolto oggi, presso lo Spazio Europa a Roma, il convegno “Data Protection Officer: Ruolo e Riconoscimento Normativo. Verso una Proposta di Legge Innovativa”, organizzato da CIU-Unionquadri con il patrocinio del Comitato Economico Sociale Europeo (CESE) e in collaborazione con Centro Studi sul Management ed il Lavoro (CESMAL), Centro Studi Corrado Rossitto e Centro Europeo di Studi Culturali. Nel corso dell’iniziativa, è stata presentata la ricerca “Il ruolo del Data Protection Officer in Italia” promossa da CIU-Unionquadri e condotta da CESMAL.
Un momento centrale dell’incontro è stata la presentazione di una proposta di legge volta a regolamentare in modo chiaro e dettagliato il ruolo del Data Protection Officer (DPO), prevedendo requisiti specifici per la nomina, criteri di formazione continua, parametri retributivi adeguati e l’istituzione di un albo professionale.
Dopo le prolusioni di Gabriella Ancora (Presidente CIU-Unionquadri), Francesco Riva (Consigliere CNEL e CIU-Unionquadri) e Maurizio Mensi (Consigliere CESE e CIU-Unionquadri); Antonio Votino, Presidente Cesmal, e Tania Nardi, Sociologa della Sostenibilità, hanno presentato la ricerca. A seguire, Cesare Di Rosa, esperto in Data Privacy Management; Mauro Antico, Chief Technology & Innovation Officer di Philmark Group; e Antonio Gurrieri, Segretario Generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale hanno contribuito ad arricchire il dibattito.
Infine, gli avvocati Fabio Petracci, Antonio Bubici, Alberto Tarlao e Francesco Cresti hanno illustrato la proposta di legge.
Le conclusioni sono state affidate a Maurizio Mensi, Consigliere del Comitato economico e sociale europeo.
La ricerca
La ricerca sul ruolo del Data Protection Officer in Italia è stata effettuata su un campione di 100 aziende italiane operanti nel pubblico e nel privato che per legge (art. 37-39 DGPR) devono avvalersi di questa figura professionale. Le aziende sono state scelte in funzione di due importanti caratteristiche: il quantitativo di dati sensibili trattati al loro interno e l’ammontare totale d’investimenti effettuati nei confronti del Data Protection.
In funzione di questi due parametri, le società che hanno costituito il campione sono state in maggioranza quelle del settore Tecnologia e IT seguite, nell’ordine, da: Finanziario, Sanitario, Partecipate, Enti Locali, Consorzi di Partecipazione e Autorità Portuali. Territorialmente le diverse tipologie di imprese intervistate si dislocano in modo non del tutto omogeneo lungo la penisola, confermando la concentrazione delle aziende al centro-nord.
Il 95,7% delle aziende intervistate ha introdotto un DPO, segno di un’attenzione crescente alla privacy e alla sicurezza dei dati. Dal punto di vista di genere, il ruolo è occupato per l’80,4% da uomini e per il 19,6% da donne, riflettendo la disparità nelle posizioni di leadership.
Il 60,9% delle aziende ha reclutato il DPO esternamente, con una prevalenza di esperti legali (59,8%).
Una sfida cruciale per il settore è il bilanciamento tra l’autonomia professionale del DPO e le strategie organizzative interne, sotto questo punto di vista è fondamentale una preventiva formazione del DPO che, secondo quanto rilevato dalla ricerca, viene effettuata dal 94,6% delle aziende intervistate.
Un’altra criticità risulta essere la necessità di rafforzare la cultura della privacy all’interno dell’azienda.
Su questo punto la ricerca ha rilevato due dati positivi. Il 73,9% delle aziende intervistate percepisce il DPO non più come mero adempimento, ma come un vantaggio competitivo, in grado di aumentare la fiducia dei clienti e la reputazione dell’azienda. Allo stesso tempo, il 60,9% del campione ritiene efficace l’apporto che la figura del DPO sta dando alla privacy e al trattamento dei dati, tanto da voler nel futuro aumentare il numero del personale impiegato nella protezione dei dati.
La proposta di legge
Il DPO si colloca tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali, ma in Italia manca ancora una normativa chiara che ne definisca ruolo e requisiti. Questo vuoto normativo genera incertezze e rischi, affidando spesso la protezione dei dati a soggetti non adeguatamente qualificati.
La proposta di legge presentata nel corso dell’incontro, mira a colmare questa lacuna, prevedendo un inquadramento giuridico del DPO sia come libero professionista sia come dipendente. L’obiettivo è garantire criteri oggettivi per la selezione e formazione di questa figura, con percorsi certificati e strutturati.
Tra i punti chiave della proposta emergono:
Prevenzione dei conflitti di interesse, con regole chiare per evitare che il DPO controlli le proprie decisioni o quelle di reparti a cui è subordinato.
Garanzie di indipendenza, con tutele lavorative e contrattuali per evitare pressioni esterne e assicurare trasparenza e imparzialità.
L’iniziativa punta a rafforzare la protezione dei dati personali, in linea con l’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Come dichiarato da Gabriella Ancora, Presidente CIU-Unionquadri: “Una regolamentazione chiara della figura del DPO è necessaria ed urgente. È indispensabile prevedere un riconoscimento giuridico di una categoria di professionisti che hanno un ruolo chiave nell’assicurare il rispetto delle regole in tema di privacy. Questo anche per evitare ogni confusione fra tale figura ed altre professionalità, come il responsabile per la transizione al digitale (RTD) o chi sarà a breve chiamato a vigilare sul rispetto delle norme in tema di intelligenza artificiale. Si tratta di profili professionali simili ma distinti, con diverse funzioni, compiti e caratteristiche. Inoltre, rileviamo con urgenza il bisogno di definire percorsi formativi rigorosi e standard di riferimento qualificanti che permetterebbero di valorizzare il ruolo del DPO, migliorandone la professionalità e offrendo vantaggi alle aziende. Il coinvolgimento di imprese, università e istituzioni è fondamentale per accrescere la consapevolezza sull’importanza di questa figura”.
Come sottolineato da Maurizio Mensi, Consigliere CESE e CIU-Unionquadri: “Il DPO è fondamentale per le aziende, in quanto garantisce il rispetto delle normative sulla privacy, migliorando la reputazione e la competitività. La sua expertise è cruciale per garantire la sicurezza dei prodotti e servizi digitali, in linea con le normative europee sulla cybersicurezza. È essenziale che il DPO mantenga la sua indipendenza nell’organizzazione aziendale. Ciò può essere ottenuto tramite un contratto che definisca il suo ruolo e autonomia, evitando conflitti di interesse, specialmente nelle aziende di piccole dimensioni o quando il DPO lavora per più aziende concorrenti”.
CIU-Unionquadri è la Confederazione Italiana di Unione delle professioni intellettuali. Da quasi 50 anni, prima come solo Unionquadri, rappresenta gli interessi dei quadri (L.190/85), dei professionisti (dipendenti e liberi), dei ricercatori e delle medio-alte professionalità; sia come persone fisiche sia come associazioni. La Confederazione si pone l’obiettivo di diffondere la cultura delle “sinergie professionali” incentivando la cooperazione e il rafforzamento della rete tra i lavoratori intellettuali.
È membro a Bruxelles del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), Organo consultivo obbligatorio dell’Unione europea che fornisce consulenza qualificata alle maggiori Istituzioni dell’UE (Commissione, Consiglio dei Ministri e Parlamento europeo).
È, altresì, membro del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).
http://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2025/02/DPO-Rollup-2_001.png58172415zairahttp://www.ciuonline.it/wp-content/uploads/2024/05/Logo-CIU-Ufficiale--300x289.jpgzaira2025-03-20 12:37:582025-03-20 12:39:24CIU-Unionquadri: il DPO deve essere regolamentato - Un ruolo chiave per il rispetto delle regole in tema di privacy
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Dal nostro rappresentante CIU Unionquadri negli Stati Uniti, Avv. Francesco Rizzo Marullo
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaIntervento del nostro rappresentante CIU Unionquadri al Consolato Italiano a Boston.
Contributo dell’Avv. Andrea Musti – Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati.
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zaira“La Sostenibilità e le pratiche di benessere lavorativo, la Direttiva 2022/2464/UE: Clima e riconoscimento, l’inclusione comincia dall’empatia, non dalle policy”
Con questo contributo dell’avv. Andrea Musti e di Simone Cerlini, pubblicato sulla rivista Guida al Lavoro N. 12 del 27-3-2025 del gruppo Il Sole 24 Ore, si è voluto affrontare il tema del benessere lavorativo alla luce delle politiche sulla sostenibilità, come enunciate dalla direttiva europea CSRD.
Com’è noto, la direttiva 2022/2464/UE (CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive) si inquadra nell’ambito del Green Deal Europeo ed è finalizzata alla promozione della trasparenza e alla divulgazione di informazioni da parte delle Aziende circa gli impatti ambientali, sociali e legati alla governance (ESG) delle loro attività, mediante il rafforzamento degli obblighi di reporting da parte delle imprese.
Partendo dal Considerando 17 della Direttiva in base al quale: “Le informazioni sulla sostenibilità dovrebbero comprendere informazioni sugli intangibili, compreso il capitale umano, sociale e relazionale, e altre informazioni sulle attività intese a garantire la parità di trattamento, la parità di genere, la formazione e lo sviluppo delle competenze, il rispetto dei diritti dei lavoratori, il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori, nonché informazioni sulla cultura aziendale.”
Gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) adottati da EFRAG, declinano la CSRD in obblighi concreti, e con gli indicatori GRI relativi al capitale umano e alle pratiche di benessere lavorativo. Anche la norma ISO 30415:2021 sulla diversity & inclusion offre una cornice operativa chiara, che prevede la valutazione delle barriere culturali e l’impegno sistemico della leadership nella promozione dell’inclusione.
Tuttavia, il quadro normativo europeo è ancora in evoluzione.
Infatti, il 26 febbraio 2025, la Commissione UE ha presentato, nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto omnibus I”, due proposte legislative per semplificare gli obblighi informativi in materia di sostenibilità. L’annuncio era stato anticipato nella “Bussola della competitività”, il documento di orientamento legislativo della Commissione per l’attuale legislatura.
Questi segnali mostrano quanto il tema sia ancora aperto e oggetto di tensioni tra esigenze di trasparenza e istanze di semplificazione.
Si è cercato quindi di evidenziare il nodo culturale che merge dalla analisi:
Infatti, al di là dei vincoli normativi, rimane il nodo culturale su quale idea di organizzazione si intende costruire. Inclusione e riconoscimento invero non sono questione di compliance, ma di creazione di valore in azienda.
Nei bilanci di sostenibilità, integrati, sociali o di genere, è spesso citato un obiettivo, che assume diverse forme, ma nella sostanza è riconducibile a “costruire un clima di lavoro inclusivo, dove ciascuno si senta valorizzato, coinvolto e rispettato.”. Tra la policy e la pratica, c’è un passaggio invisibile e fondamentale, spesso trascurato: la qualità dell’ascolto. Ed è da lì che passa la possibilità di una vera inclusione. Il senso pieno della CSRD.
La competenza chiave, che non è solo una qualità personale, ma un atteggiamento che si può apprendere, è l’empatia. Ed è qui che le leadership si giocano la differenza tra gestire e guidare, tra ottimizzare e generare senso. L’empatia non è un sentimento astratto, ma un approccio che rende possibile la collaborazione, come direbbe Sebastiano Zanolli (Lavorare è collaborare, ROI Edizioni, 2024), perché fa percepire alle squadre il riconoscimento da parte del manager delle qualità individuali, del contributo di ognuno all’innovazione e al miglioramento continuo, fino alla dignità nel partecipare insieme alla costruzione di regole comuni.
L’autore Riccardo Maggiolo (nel suo “Lavorare è da boomer” pubblicato su Senza Filtro, 2024) evidenzia una frattura generazionale e culturale. Da una parte, organizzazioni ancora impastate di rituali stanchi, in cui l’inclusione è una parola d’ordine da retrocopertina; dall’altra, una nuova generazione che chiede relazioni vere, riconoscimento, ascolto, possibilità di incidere. Si tratta anche di attrarre e trattenere talenti, certo, ma quest’obiettivo passa dal ripensare il lavoro come esperienza di senso.
Ma come si concretizza tutto questo, oltre i principi? Esistono pratiche organizzative, anche diffuse, che possono fare la differenza.
Le buone pratiche organizzative
Ad esempio, chiedere ai manager di registrare i feedback dei collaboratori non è burocrazia, è costruzione di memoria organizzativa. Significa innanzitutto costringere all’ascolto di ogni singolo membro del team, poi dare dignità a ogni sollecitazione, tracciare i segnali deboli, non disperdere intuizioni e domande. Oppure, introdurre survey regolari sul benessere organizzativo, non per accumulare dati, ma per mettersi in discussione come contesto relazionale: come si sta davvero qui dentro? Cosa si respira? Cosa fare per migliorare? E ancora, premiare i responsabili che fanno crescere le persone, che valorizzano anche a costo di perdere le risorse migliori perché li si fa progredire nell’organizzazione e nella carriera. Perché lo sviluppo organizzativo è possibile attraverso lo sviluppo e la crescita delle persone. A volte è difficile lasciare andare quelli bravi, ma il bene dell’azienda spesso richiede di lasciarlo prendere il volo.
In conclusione
Una cultura inclusiva non si fonda solo sull’equità di trattamento, ma sulla disponibilità al cambiamento. E questo cambiamento non sempre nasce dall’alto: spesso prende forma da un’inquietudine, da un gesto laterale, da una proposta inaspettata. L’inclusione, insomma, non è una concessione, ma una scelta relazionale: riconoscere valore all’altro anche quando esce dallo script.
L’empatia, in fondo, è la forma più radicale di responsabilità organizzativa. Perché mette in discussione l’autosufficienza dei ruoli, la rigidità dei processi, la presunzione di sapere già tutto. Ci ricorda che l’identità di un’organizzazione – la sua vera forza – si costruisce nella relazione, nel riconoscimento reciproco, nella capacità di ascolto. Non basta scriverlo nei documenti: serve viverlo ogni giorno, in ogni scambio, in ogni gesto che trasforma un luogo di lavoro in una comunità che apprende.
IL CNEL INCONTRA IL CONSIGLIO GENERALE DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaHanno preso parte all’iniziativa il vicepresidente Risso e il consigliere Riva
01 APRILE 2025
Si è svolto oggi un incontro tra il CNEL e il Consiglio generale degli italiani all’estero. L’iniziativa, cui hanno preso parte il vicepresidente Claudio Risso, il consigliere Francesco Riva e una delegazione di dirigenti e funzionari del CNEL, rientra in una serie di incontri istituzionali che il Comitato di Presidenza del CGIE sta svolgendo in questi giorni, in vista dell’Assemblea plenaria prevista per il prossimo giugno.
Molti i punti toccati nel corso della riunione, dal fenomeno della fuga dei cervelli agli incentivi per il rientro di chi è espatriato, dalle politiche per contrastare lo spopolamento dei piccoli borghi agli interventi a supporto delle aree interne. Un tema quest’ultimo su cui il CNEL – come ha ricordato il vicepresidente Risso – sta lavorando per la messa a punto di un disegno di legge specifico.
“Il nostro obiettivo – ha sottolineato Risso – deve ruotare intorno al concetto di opportunità. Vanno create le condizioni perché chi si è trasferito all’estero e vuole tornare abbia l’opportunità reale di farlo. È fondamentale valorizzare l’apporto delle comunità degli italiani all’estero e il CNEL può essere il luogo giusto per questo. È necessario anche un impegno dal punto di vista culturale. La questione degli italiani all’estero non può essere attenzionata solo in campagna elettorale. Dobbiamo stabilire un rapporto costante con le comunità, approfondirne la conoscenza e fare qualcosa di concreto intervenendo su tematiche specifiche. Da questo punto di vista c’è tutta la nostra disponibilità”.
Avviso pubblico per il conferimento di n. 6 borse di studio a supporto delle attività del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro- Riapertura termini per la borsa di studio a supporto delle attività dell’Ufficio V
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaDeterminazione del Segretario Generale n. 36 del 31 marzo 2025
Allegato B alla Determinazione del Segretario Generale n. 10 del 21 gennaio 2025- Borsa di studio a supporto delle attività dell’Ufficio V
Prof. Maurizio Mensi Cons. CIU Unionquadri al CESE
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaAl hashtag#ConsiglioUE per illustrare la posizione dell’European Economic and Social Committee in tema di hashtag#Industria e hashtag#Difesa, alla vigilia della presentazione del Libro Bianco sul futuro della Difesa europea di cui sono relatore
10° anniversario Fondo Conoscenza
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaMOBILITÀ 2025 PERSONALE DOCENTE SOSTEGNO SU POSTO COMUNE
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaPrivacy, regolamentare la figura del Dpo per tutelare la sicurezza delle aziende.
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaDa CIU-Unionquadri una proposta di legge che punta a definire i contorni giuridici e giuslavoristici di un profilo sempre più strategico per il sistema imprenditoriale nazionale e internazionale
di Camilla Curcio
19 marzo 2025
Regolamentare la figura del data protection officer (Dpo) per garantire un’adeguata tutela dei dati personali e potenziare la sicurezza di imprese e cittadini. Puntando su un ventaglio di norme che, dalle competenze fino all’imparzialità del ruolo, siano in grado di definire con chiarezza i contorni giuridici, giuslavoristici ed economici di un profilo professionale ormai sempre più importante per la compliance aziendale e sempre più integrato nei vari settori del tessuto imprenditoriale europeo. Questo l’input al centro del convegno promosso e organizzato da CIU Unionquadri (Confederazione italiana di unione delle professioni intellettuali) e Comitato economico sociale europeo (Cese), «Data protection officer: ruolo e riconoscimento normativo. Verso una proposta di legge normativa», in collaborazione con Centro studi sul management e il lavoro (Cesmal), Centro studi Corrado Rossitto e Centro europeo di studi culturali.
La ricerca
A confermare il valore imprescindibile del Dpo anche i risultati della ricerca condotta da CIU-Unionquadri (membro del Cnel e del Cese) e Cesmal, che sarà presentata oggi nella cornice di Spazio Europa e si propone di capire come il data protection officer sia reclutato, utilizzato e incluso nel sistema impresa.
Su un campione di 100 aziende italiane – attive sia in ambito pubblico sia in ambito privato e che per legge devono avvalersi del Dpo (articoli 37-39 del Gdpr), il 95,7 per cento lo ha introdotto nel proprio organico. Una scelta che, al di là dell’aderenza al diktat normativo, strizza l’occhio a una maggiore consapevolezza del valore della privacy e della riduzione dei rischi, al miglioramento della reputazione aziendale e a una responsabilità tanto sociale quanto etica. Valori più o meno comuni a tutte le imprese considerate, per la maggior parte operative nell’ambito tecnologico (41 per cento), finanziario (16 per cento) e sanitario (13 per cento).
Poche sorprese sul fronte del genere: dietro alla scrivania, anche in questa posizione, si trovano molti più uomini (80,4 per cento) che donne (19,6 per cento). Un risultato che dimostra come gli stereotipi incidano pesantemente sulla distribuzione della leadership, soprattutto in contesti fortemente tecnologici come quelli delle aziende intervistate, dislocate prevalentemente al Centro (50 per cento) e al Nord (43 per cento), con una quota minoritaria al Sud (7 per cento).
Quanto, invece, al reclutamento, sono molte di più le imprese che scelgono di reclutare i propri Dpo dall’esterno (60,9 per cento) e prevalentemente dal settore legale (59,8 per cento) rispetto a quelle che affidano la mansione a dipendenti già assunti (39,1 per cento). In primis per necessità legate al budget a disposizione, poi alla complessità della gestione dei dati e alle risorse disponibili.
https://www.ilsole24ore.com/art/privacy-regolamentare-figura-dpo-tutelare-sicurezza-aziende-AG4F5dbD
Montenegro intervento del Prof. Maurizio Mensi Cons. CIU Unionquadri al CESE
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaCIU-Unionquadri: il DPO deve essere regolamentato – Un ruolo chiave per il rispetto delle regole in tema di privacy
/in Comunicati stampa, Documenti, In Evidenza, News /da zairaRoma, 19 marzo 2025 – Si è svolto oggi, presso lo Spazio Europa a Roma, il convegno “Data Protection Officer: Ruolo e Riconoscimento Normativo. Verso una Proposta di Legge Innovativa”, organizzato da CIU-Unionquadri con il patrocinio del Comitato Economico Sociale Europeo (CESE) e in collaborazione con Centro Studi sul Management ed il Lavoro (CESMAL), Centro Studi Corrado Rossitto e Centro Europeo di Studi Culturali. Nel corso dell’iniziativa, è stata presentata la ricerca “Il ruolo del Data Protection Officer in Italia” promossa da CIU-Unionquadri e condotta da CESMAL.
Un momento centrale dell’incontro è stata la presentazione di una proposta di legge volta a regolamentare in modo chiaro e dettagliato il ruolo del Data Protection Officer (DPO), prevedendo requisiti specifici per la nomina, criteri di formazione continua, parametri retributivi adeguati e l’istituzione di un albo professionale.
Dopo le prolusioni di Gabriella Ancora (Presidente CIU-Unionquadri), Francesco Riva (Consigliere CNEL e CIU-Unionquadri) e Maurizio Mensi (Consigliere CESE e CIU-Unionquadri); Antonio Votino, Presidente Cesmal, e Tania Nardi, Sociologa della Sostenibilità, hanno presentato la ricerca. A seguire, Cesare Di Rosa, esperto in Data Privacy Management; Mauro Antico, Chief Technology & Innovation Officer di Philmark Group; e Antonio Gurrieri, Segretario Generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale hanno contribuito ad arricchire il dibattito.
Infine, gli avvocati Fabio Petracci, Antonio Bubici, Alberto Tarlao e Francesco Cresti hanno illustrato la proposta di legge.
Le conclusioni sono state affidate a Maurizio Mensi, Consigliere del Comitato economico e sociale europeo.
La ricerca
La ricerca sul ruolo del Data Protection Officer in Italia è stata effettuata su un campione di 100 aziende italiane operanti nel pubblico e nel privato che per legge (art. 37-39 DGPR) devono avvalersi di questa figura professionale. Le aziende sono state scelte in funzione di due importanti caratteristiche: il quantitativo di dati sensibili trattati al loro interno e l’ammontare totale d’investimenti effettuati nei confronti del Data Protection.
In funzione di questi due parametri, le società che hanno costituito il campione sono state in maggioranza quelle del settore Tecnologia e IT seguite, nell’ordine, da: Finanziario, Sanitario, Partecipate, Enti Locali, Consorzi di Partecipazione e Autorità Portuali. Territorialmente le diverse tipologie di imprese intervistate si dislocano in modo non del tutto omogeneo lungo la penisola, confermando la concentrazione delle aziende al centro-nord.
Il 95,7% delle aziende intervistate ha introdotto un DPO, segno di un’attenzione crescente alla privacy e alla sicurezza dei dati. Dal punto di vista di genere, il ruolo è occupato per l’80,4% da uomini e per il 19,6% da donne, riflettendo la disparità nelle posizioni di leadership.
Il 60,9% delle aziende ha reclutato il DPO esternamente, con una prevalenza di esperti legali (59,8%).
Una sfida cruciale per il settore è il bilanciamento tra l’autonomia professionale del DPO e le strategie organizzative interne, sotto questo punto di vista è fondamentale una preventiva formazione del DPO che, secondo quanto rilevato dalla ricerca, viene effettuata dal 94,6% delle aziende intervistate.
Un’altra criticità risulta essere la necessità di rafforzare la cultura della privacy all’interno dell’azienda.
Su questo punto la ricerca ha rilevato due dati positivi. Il 73,9% delle aziende intervistate percepisce il DPO non più come mero adempimento, ma come un vantaggio competitivo, in grado di aumentare la fiducia dei clienti e la reputazione dell’azienda. Allo stesso tempo, il 60,9% del campione ritiene efficace l’apporto che la figura del DPO sta dando alla privacy e al trattamento dei dati, tanto da voler nel futuro aumentare il numero del personale impiegato nella protezione dei dati.
La proposta di legge
Il DPO si colloca tra innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali, ma in Italia manca ancora una normativa chiara che ne definisca ruolo e requisiti. Questo vuoto normativo genera incertezze e rischi, affidando spesso la protezione dei dati a soggetti non adeguatamente qualificati.
La proposta di legge presentata nel corso dell’incontro, mira a colmare questa lacuna, prevedendo un inquadramento giuridico del DPO sia come libero professionista sia come dipendente. L’obiettivo è garantire criteri oggettivi per la selezione e formazione di questa figura, con percorsi certificati e strutturati.
Tra i punti chiave della proposta emergono:
L’iniziativa punta a rafforzare la protezione dei dati personali, in linea con l’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Come dichiarato da Gabriella Ancora, Presidente CIU-Unionquadri: “Una regolamentazione chiara della figura del DPO è necessaria ed urgente. È indispensabile prevedere un riconoscimento giuridico di una categoria di professionisti che hanno un ruolo chiave nell’assicurare il rispetto delle regole in tema di privacy. Questo anche per evitare ogni confusione fra tale figura ed altre professionalità, come il responsabile per la transizione al digitale (RTD) o chi sarà a breve chiamato a vigilare sul rispetto delle norme in tema di intelligenza artificiale. Si tratta di profili professionali simili ma distinti, con diverse funzioni, compiti e caratteristiche. Inoltre, rileviamo con urgenza il bisogno di definire percorsi formativi rigorosi e standard di riferimento qualificanti che permetterebbero di valorizzare il ruolo del DPO, migliorandone la professionalità e offrendo vantaggi alle aziende. Il coinvolgimento di imprese, università e istituzioni è fondamentale per accrescere la consapevolezza sull’importanza di questa figura”.
Come sottolineato da Maurizio Mensi, Consigliere CESE e CIU-Unionquadri: “Il DPO è fondamentale per le aziende, in quanto garantisce il rispetto delle normative sulla privacy, migliorando la reputazione e la competitività. La sua expertise è cruciale per garantire la sicurezza dei prodotti e servizi digitali, in linea con le normative europee sulla cybersicurezza. È essenziale che il DPO mantenga la sua indipendenza nell’organizzazione aziendale. Ciò può essere ottenuto tramite un contratto che definisca il suo ruolo e autonomia, evitando conflitti di interesse, specialmente nelle aziende di piccole dimensioni o quando il DPO lavora per più aziende concorrenti”.
CIU-Unionquadri è la Confederazione Italiana di Unione delle professioni intellettuali. Da quasi 50 anni, prima come solo Unionquadri, rappresenta gli interessi dei quadri (L.190/85), dei professionisti (dipendenti e liberi), dei ricercatori e delle medio-alte professionalità; sia come persone fisiche sia come associazioni. La Confederazione si pone l’obiettivo di diffondere la cultura delle “sinergie professionali” incentivando la cooperazione e il rafforzamento della rete tra i lavoratori intellettuali.
È membro a Bruxelles del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), Organo consultivo obbligatorio dell’Unione europea che fornisce consulenza qualificata alle maggiori Istituzioni dell’UE (Commissione, Consiglio dei Ministri e Parlamento europeo).
È, altresì, membro del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).
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