Inammissibile la questione di legittimità costituzionale sul divieto di cumulo tra la c.d. pensione Quota 100 e i redditi da lavoro subordinato.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 162/2025 depositata in data 04/11/2025, ha dichiarato inammissibili i dubbi di legittimità costituzionale formulati dal Tribunale di Ravenna nei confronti dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito nella legge n. 26/2019.

Da detta disposizione, secondo l’interpretazione data dalla Corte di cassazione (con la sentenza n. 30992/2024), veniva fatta discendere la sospensione del trattamento previdenziale per un’intera annualità in ragione della violazione del divieto di cumulo della pensione anticipata “quota 100” con redditi da lavoro subordinato, anche quando l’attività lavorativa svolta risultava limitata a periodi molto limitati (una o poche giornate) e con il conseguimento di redditi esigui.

Considerato che le pensioni vengono erogate per legge mensilmente, il Tribunale di Ravenna riteneva che la regola del cumulo operi a livello mensile, privando il pensionato dei ratei nelle sole mensilità nelle quali egli ha cumulato redditi da lavoro subordinato e pensione “quota 100”.

Tuttavia la Corte Costituzionale ha osservato che il giudice rimettente, sebbene non abbia ravvisato alcun ostacolo testuale o di principio a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che peraltro non prevede espressamente alcuna conseguenza alla violazione del divieto di cumulo, non l’ha seguita, sollevando al contrario questione di legittimità costituzionale.

Il Tribunale ha ritenuto ostativa all’interpretazione adeguatrice proprio l’unica pronuncia della sezione lavoro della Corte di cassazione. Tale pronuncia tuttavia è rimasta finora unica nella giurisprudenza di legittimità e risulta peraltro non avere avuto un seguito generalizzato da parte dei giudici di merito, considerato che essa è stata seguita da alcune pronunce, ma disattesa da altre.

Pertanto non ricorrono quei requisiti di reiterazione e stabilità che sono ritenuti necessari ad assegnare all’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità un grado di consolidamento tale da rivelare il suo radicamento nell’ordinamento e da farlo assurgere realmente a “diritto vivente”, così da indurre il giudice che ne ravvisi il possibile contrasto con la Costituzione a investire la Corte Costituzionale della vicenda.

Il giudice rimettente quindi può – e deve – procedere all’interpretazione della disposizione censurata confrontandosi con il citato precedente giurisprudenziale, che tuttavia non radica una situazione di “diritto vivente”.

Viene dunque dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del d.l. n. 4/2019, non avendo il Tribunale di Ravenna correttamente assolto all’onere di preventiva interpretazione della disposizione censurata.

avv. Alberto Tarlao

Segretario Regionale CIU Unionquadri

Friuli-Venezia Giulia