Comunicati Stampa

Cosa succede con i licenziamenti dal 1 aprile? Lo spiega Cesare Damiano.

Di Gianluca Zapponini – Economia
Cosa succede con i licenziamenti dal 1 aprile? Lo spiega Cesare Damiano

Intervista all’ex ministro del Lavoro: un errore sbloccare i licenziamenti adesso, le misure di emergenza vanno mantenute ancora qualche mese per evitare un bagno di sangue. Le imprese hanno ragione, serve una transizione senza strappi verso la ripresa che eviti shock ai danni di tutti. Il Recovery Plan? Un mix di investimenti e tutele

Un mese, giorno più, giorno meno. Il 31 marzo scade ufficialmente il blocco dei licenziamenti, imposto un anno fa a mezzo decreto da parte dell’allora governo Conte, in pieno lockdown di primavera. Dal 1 aprile per le imprese sarà possibile avviare delle ristrutturazioni le quali porteranno quasi certamente a numerosi esuberi. C’è dell’altro. Sempre a fine marzo scade uno dei principali ammortizzatori sociali pandemici, la Cassa integrazione Covid. Uno uno-due che rischia di tramutarsi in un bagno di sangue.

Scenario che gli imprenditori italiani vorrebbero scongiurare, come dimostra la proposta giunta da Confindustria per mezzo del presidente, Carlo Bonomi. E cioè una norma transitoria ad hoc, che eviti lo shock e accompagni il sistema industriale verso un ritorno alle normali condizioni di libero mercato. Niente strappi, insomma, come fa capire anche Cesare Damiano, economista, già deputato dem e ministro del Lavoro (2006-2008) durante il secondo governo Prodi.

Damiano, il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti. Il rischio di una mattanza sociale c’è. Che si fa?

Conosciamo tutti questa scadenza, con la quale il governo dovrà fare presto i conti. Stando ai dati del mio Centro studi (Associzione Lavoro&Welfare, ndr) la Cassa integrazione nel 2020 è aumentata del 1.467% sul 2019, con 360 milioni di ore mediamente autorizzate al mese. E anche a gennaio il trend è rimasto alto, con 217 milioni di ore autorizzate. Alla luce di tutto questo, nonostante la situazione abbia registrato dei miglioramenti, siamo ben lontani dalla normalità. Per tutti questi motivi, interrompere la Cassa Covid e sbloccare i licenziamenti vorrebbe dire andare incontro a mezzo milione-un milione di potenziali disoccupati. Uno tsunami, ingovernabile.

Un bagno di sangue.  Allora bisogna prorogare le misure in essere…

Questo mi pare evidente. Però la soluzione ottimale sarebbe prorogare queste misure almeno per un medio termine, diciamo fino all’autunno o a fine anno, non all’infinito. Questo dipende certamente dall’andamento della situazione generale, ma per il momento mi pare assurdo interrompere di botto due misure così importanti per i lavoratori.

Blocco dei licenziamenti e Cassa Covid. Cosa è più essenziale?

Tutte e due, anche se ci sono delle differenze. La Cassa Covid viene pagata dalla fiscalità generale, soccorre le imprese anche con un dipendente, ed è necessaria sia ai lavoratori, sia agli imprenditori, anche se non copre tutto il salario. Le dico solo che un dipendente che fa, mediamente, un mese di Cassa lascia per strada in media 460 euro circa. Dunque è una tutela necessaria. Il blocco dei licenziamenti è anche esso importante, ma vanno fatti dei distinguo.

Quali sarebbero?

Sulla moratoria dei licenziamenti le parti sociali devono confrontarsi con il governo. Perché la misura in questione può anche non essere erga omnes, ma dosata a seconda dell’andamento produttivo  del settore. Voglio dire: chi produce vaccini, per esempio, più che di licenziare ha bisogno di assumere personale. Ma poi c’è chi appartiene ai settori più colpiti, il ristorante, la discoteca. E qui non c’è bisogno di passare ai licenziamenti di massa. Ma come ho detto serve un valutazione e soprattutto una decisione condivisa, non certo unilaterale. Un abito su misura settore per settore.

Insomma, Damiano, soluzioni su misura, in tema di licenziamenti.

Esatto, il succo è questo. Una valutazione del governo con le parti sociali che tenga conto delle diverse situazioni.

C’è chi pensa che il libero mercato debba tornare ad agire. E che i lavoratori licenziati debbano un domani essere riassorbiti grazie agli investimenti del Recovery Fund. Lei che dice?

Sarebbe un grande errore utilizzare le risorse del Recovery Fund e in generale tutte le risorse messe a disposizione dall’Europa, esclusivamente per gli investimenti. L’azione va pensata in due parti. Da un lato le tutele immediate, dall’alto gli investimenti futuri. Perché vede, per riassorbire i lavoratori con gli investimenti futuri bisogna traghettarli dall’attuale situazione di crisi, verso una di ripresa. Questo è il senso, occorre traghettare le persone, con degli strumenti appositi, come la Cassa Covid e il blocco dei licenziamenti. Ma tutto va graduato.

Cioè al diminuire della crisi si possono a loro volta eliminare progressivamente queste misure?

Sì. In altre parole, mano a mano che torniamo a rivedere le stelle, togliamo l’assistenza. Non ci può essere un primo tempo e un secondo tempo, serve gradualità. E su questo si può ragionare. Anzi, si deve.

Se muore un Ambasciatore. L’esempio di Attanasio e il nodo della sicurezza.

di Patrizio  Fondi – Ambasciatore – Consigliere Comitato Scientifico CIU – Unionquadri.

«Proteggendo lei sentiamo di proteggere la nostra bandiera», mi dicevano le persone che si occupavano della mia sicurezza quando ero alla guida dell’Ambasciata d’Italia in Giordania. Ecco, in queste brevi e semplici parole è racchiusa la spiegazione dell’enorme emozione che sta suscitando in tutto il Paese la morte del nostro Ambasciatore nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, trucidato insieme a due altre vittime, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista locale Mustapha Milambo, a cui va egualmente un pensiero di dolente pietà. L’intera comunità nazionale, in una tale drammatica circostanza, si sente ferita nel profondo, per la forte valenza simbolica che la figura di un Ambasciatore incarna nell’immaginario collettivo. Ciascuno vive la ferita come un colpo personale alla propria identità di cittadino italiano, anche se non ha mai incontrato personalmente Luca o non ne ha mai sentito parlare prima.

Ancor più poi se l’identikit dell’Ambasciatore ucciso corrisponde a quello di un giovane 43enne entusiasta, solare, estremamente attivo ed incredibilmente empatico, come lo descrivono tutti i colleghi che hanno avuto a che fare con lui alla Farnesina o all’estero. In aggiunta, il valoroso collega lascia, oltre ai devastati genitori, tre bambine in tenera età e una consorte – Zakia Saddiki – a cui era legatissimo, conosciuta quando era Console Generale a Casablanca e che condivideva il suo impegno umanitario, tanto da aver fondato l’organizzazione filantropica Mama Sofia a favore delle donne africane.

Il lombardo, cattolico e “bocconiano” Attanasio apparteneva a quella categoria di diplomatici che abbracciano la carriera con uno spirito di servizio volto a privilegiare l’azione concreta in posti difficili rispetto ad incarichi più comodi in Paesi “normali”. Dopo aver servito in Svizzera, Marocco e Nigeria, avrebbe potuto legittimamente chiedere di essere assegnato ad una sede come Washington, Parigi o Londra, ma ha preferito proseguire ed approfondire la sua esperienza africana, perché’ sentiva – come diceva a tutti – che lì, in quel continente svantaggiato, poteva davvero contribuire a “fare la differenza”. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno… Il Ministero degli Esteri, dall’inizio del terzo millennio, ha intelligentemente inaugurato una politica del personale che nelle sedi particolarmente disagiate e problematiche non prevede più l’invio di Ambasciatori alle soglie della pensione, ma piuttosto giovani colleghi pieni di energie fresche e motivazioni ideali. Luca non si era fatto sfuggire questa occasione e aveva dato ottima prova di sé, fino ad essere insignito nel 2020 del “Premio Internazionale Nassirya per la Pace”, intitolato alla memoria dei militari italiani vittime dell’attentato in Iraq durante la missione “Antica Babilonia” del 2003 (il che ora suona come una tragica premonizione).

Le circostanze della morte non sono ancora del tutto chiare e sono in corso inchieste della magistratura italiana civile e militare, nonché’ indagini in loco con la collaborazione delle autorità congolesi, per appurare la dinamica dei fatti. La questione sicurezza rappresenta uno dei nodi più spinosi dell’attività diplomatica, soprattutto a partire dalla fine della guerra fredda e dalla diffusione delle moderne tecnologie di informazione, quando si è passati da un mondo pressoché interamente controllato da due superpotenze – Stati Uniti e Unione Sovietica – ad un contesto internazionale frammentato e gradualmente andato fuori controllo, dove la professione del diplomatico è diventata sempre più rischiosa. Prima, quasi tutti gli attori locali rispondevano all’uno o all’altro dei due potenti referenti, per cui l’imprevedibilità delle condotte era limitata, mentre ora il pianeta si è trasformato in una sorta di giungla dove hanno largo spazio le schegge impazzite. Da questo punto di vista, l’Africa è l’esempio più calzante, dato che in un ambiente caratterizzato da povertà, corruzione, degrado ecologico, traffici illeciti e indebito sfruttamento di risorse, proliferano – come pesci nell’acqua – gruppi armati di terroristi e criminali, i cui metodi di azione diventano sempre più simili e sempre più aggressivi.

Luca viveva e lavorava in una cornice di questo tipo e cercava di portare un po’ di solidarietà e luce italiana a quelle sfortunate popolazioni tramite le iniziative umanitarie e di cooperazione allo sviluppo, muovendosi con un’auto blindata e un carabiniere di scorta. Ma stavolta, dovendo recarsi in una località a 2500 chilometri dalla capitale Kinshasa per seguire un progetto realizzato con il Programma Alimentare Mondiale (PAM), ha dovuto affidare l’organizzazione del suo viaggio ai funzionari onusiani. A quanto pare, il convoglio con cui stava spostandosi in loco era composto da due autovetture non blindate e non scortate da uomini dell’esercito congolese o della forza ONU, ma solo da alcuni addetti alla sicurezza del PAM e dal carabiniere Iacovacci. Dalle prime dichiarazioni rese note, il PAM ha affermato che la strada utilizzata era considerata percorribile senza particolari precauzioni. Al riguardo, però, è legittimo esprimere il dubbio che ci sia stata qualche sottovalutazione del pericolo, sia perché la presenza di un Ambasciatore cambia radicalmente la situazione e dunque il livello di allerta da adottare (trattandosi di un bersaglio politico per eccellenza e di un elemento di scambio prezioso per chiedere un ingente riscatto), sia perché – essendo Luca già in zona dal giorno prima – la sua presenza poteva ovviamente essere notata facilmente, dando tutto il tempo di preparare un agguato. Il che purtroppo è puntualmente avvenuto, probabilmente da parte di una banda che voleva effettuare un rapimento a scopo di lucro e che ha poi assassinato gli ostaggi andando nel panico all’arrivo di alcune forze di polizia. O forse la morte è intervenuta a seguito dello scambio di fuoco tra rapitori e forze dell’ordine. Sembra meno verosimile il movente terroristico, data la mancanza di una rivendicazione in tal senso. Un sito giornalistico ha addirittura ventilato l’ipotesi di una vendetta contro l’Italia da parte di gruppi di ribelli hutu che si sarebbero sentiti esclusi dai vantaggi derivanti da presunti accordi intercorsi tra compagnie energetiche italiane e il Governo centrale congolese per lo sfruttamento di risorse petrolifere nella zona in cui operano. Ma qui entriamo nel campo delle speculazioni, per cui non ci resta che attendere gli sviluppi delle indagini.

Intanto, oltre ai messaggi di cordoglio da ogni parte del mondo, crescono le proposte di iniziative volte a mantenere viva la memoria del collega Attanasio (borse di studio intitolate al suo nome, dedica di una sala riunioni del Ministero, corsi di preparazione alla carriera diplomatica o di aggiornamento professionale recanti il suo nominativo, conferimento del titolo di “Alumnus Bocconi 2021”, medaglia al valor civile) e ad aiutare la famiglia, con particolare attenzione al sostegno degli studi delle figlie  tramite un “trust fund” sindacale.

Noi diplomatici siamo fieri di averlo avuto in carriera come nostro esemplare compagno di viaggio. Con un pensiero addolorato e solidale per i suoi famigliari e di quelli delle persone uccise insieme a lui, mi auguro che Luca – ovunque si trovi adesso – possa ritrovare quella serenità che ha generosamente sparso intorno a sé durante la sua vita, così breve eppure così ricca e positiva.

Patrizio Fondi è stato Ambasciatore d’Italia e dell’Unione europea. 

Smart working PA , solo il 33,3% delle amministrazioni statali presenta i piani. Brunetta convoca la commissione tecnica.

I Pola, i piani organizzativi per il lavoro agile, andavano presentati entro il 31 gennaio per le organizzazioni centrali. Avrebbero dovuto prevedere una quota del 60% di lavoro da remoto.

ROMA – Smart working in affanno nella Pubblica Amministrazione: solo un terzo delle amministrazioni statali ha presentato entro la scadenza del 31 gennaio i Pola, i piani organizzativi del lavoro agile. La legge dispone che attraverso i Pola i dirigenti debbano organizzare il lavoro per obiettivi, facendo in modo che almeno il 60 per cento del personale che può farlo lavori in modalità agile. In assenza dei Pola, c’è comunque l’obbligo dello smart working per il 30% del personale, ma viene meno il principio organizzativo per obiettivi: un passo in avanti importante per la Pubblica Amministrazione, anche in vista della gestione del Recovery Fund. E infatti il ministro Renato Brunetta non intende rinunciarci, e ha convocato per la prossima settimana, il 3 marzo alle 11, la Commissione Tecnica dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile, prevista dal Decreto Rilancio e coordinata dal presidente dell’Aran Antonio Naddeo.

“Lo smart working è stato certamente fondamentale durante la fase acuta della pandemia e ha segnato un cambiamento culturale da cui bisogna trarre tutte le conseguenti analisi. – afferma Brunetta – Ora occorre ricondurlo ad essere uno degli strumenti di organizzazione del lavoro delle singole amministrazioni, strettamente connesso al livello di qualità dei servizi da fornire a cittadini e imprese. Sarà un punto all’ordine del giorno della nuova contrattazione, per quanto riguarda la regolazione. Un tema su cui le parti sociali pubbliche e private sono chiamate a riflettere. Il fenomeno va studiato a fondo e servono grandissimi investimenti dal punto di vista progettuale, di relazioni sindacali, regolativi, infrastrutturali e di intelligenza sociale anche alla luce della sfida della transizione digitale che l’Europa ci chiama a raccogliere”.

Sicuramente il fatto che però solo il 33,3% delle amministrazioni abbiano risposto all’appello (per i Comuni invece c’è più tempo, fino al 31 marzo) denuncia una difficoltà da parte di chi dovrebbe provvedere a una riorganizzazione degli uffici: “Per prima cosa bisognerà cercare di capire quali sono le difficoltà che si sono presentate. – dice Naddeo – Noi abbiamo l’idea che tutte le amministrazioni debbano organizzarsi con il lavoro agile, ma magari sono necessari aggiustamenti alle norme, da fare in maniera condivisa. Forse è una tematica che va trattata in modo più tranquillo, anche tenendo conto del fatto che comunque fino al 30 aprile vale lo smart working emergenziale”.

Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano e componente dell’Osservatorio nazionale sul lavoro agile presso la Presidenza del Consiglio, ridimensiona l’allarme: “Le linee guida sono state pubblicate solo a metà dicembre, era prevedibile che molte amministrazioni non avrebbero fatto in tempo a presentare i Pola. E comunque sarebbe stato più opportuno sincronizzare il termine di presentazione dei Pola con la fine dello smart working di emergenza, il 30 aprile. Detto questo, si tratta di piani di respiro pluriennale, che costuiscono una grande opportunità per la Pubblica amministrazione”.

Gli stessi ministeri si sono trovati in difficoltà: su 14, solo 5 hanno presentato i piani per il lavoro agile. Inail e Inps non li hanno presentanti, tra le Università lo hanno fatto in 26 su 67, tra gli organi di rilevanza costituzionale nessuno, tra gli enti di ricerca vigilati uno su 14. “I Pola – osserva Marco Carlomagno, segretario generale della Flp – non sono semplicemente un concreto contributo alla conciliazione vita lavoro, con  l’applicazione del lavoro agile e la sua maggiore diffusione, ma rappresentano un cambio di paradigma dei modelli organizzativi, dei processi e delle modalità lavorative e procedurali, del rapporto con i cittadini e le imprese, dell’orientamento al risultato e non al mero adempimento, della valorizzazione del personale”.

Un’occasione da non perdere, dunque. Ma le difficoltà non vanno sottovalutate, e sono strettamente legate alla carenze attuali dei servizi digitali della Pubblica Amministrazione: dal Report Emea, presentato ieri da Forum Pa, emerge come i principali ostacoli alla digitalizzazione siano i “processi legacy” (cioè le difficoltà a supportare e trasmettere i dati delle attuali strutture informatiche) e la mancanza di agilità, ma anche la mancanza di competenze ed esperienze nell’ambito del digitale, oltre alla latitanza degli investimenti in infrastrutture tecnologiche. Le attuali infrastrutture dati frenano la trasformazione digitale per il 78% degli intervistati.

FLORIANO BOTTA ELETTO VICEPRESIDENTE DEL CNEL.

Il consigliere Floriano Botta è stato eletto vicepresidente del CNEL dall’Assemblea nel corso della riunione che si è tenuta mercoledì 24 febbraio presieduta dal presidente Tiziano Treu alla presenza del segretario generale Paolo Peluffo.

Botta, classe 1938, espressione di Confindustria, subentra al dimissionario Elio Catania e affiancherà la vicepresidente Gianna Fracassi.

Industriale operante nel settore cartotecnico dai primi Anni Sessanta, all’impegno in azienda ha sempre affiancato quello nel mondo associativo, ricoprendo nel corso del tempo diversi incarichi. Attualmente, il vicepresidente Botta è membro del consiglio etico di Confindustria. È stato, inoltre, Presidente di Assocaaf, Consigliere Piccola Industria Assolombarda, Componente Consiglio Generale Confindustria, Membro del Consiglio Generale Assolombarda. In passato è stato Componente della Commissione Prezzi Carte Camera di Commercio di Milano, Past President Unione Industriali Grafici e Cartotecnici di Milano, Componente Consiglio Direttivo e Giunta Assografici.

Tutti gli altri punti previsti all’ordine del giorno dell’Assemblea sono stati discussi, trattati e approvati. Tra questi, il disegno di legge, licenziato all’unanimità, sull’accesso programmato ai corsi di laurea di area medica, relatrice la vicepresidente Fracassi.

Fondo Conoscenza – Avviso 1/2021.

Abbiamo creato un evento interamente dedicato alla presentazione del nuovo Avviso 1/2021.
L’evento vedrà come protagonisti relatori esperti, pronti a trattare tematiche che sono il fulcro delle nuove attività di Fondo Conoscenza.
Nello specifico, presenteremo il nuovo Avviso di Fondo Conoscenza, tra conferme e novità.
Illustreremo come la formazione sia fondamentale per il rilancio delle imprese italiane.
Ci focalizzeremo sui temi della salute, della sicurezza e sull’importanza della prevenzione.
Approfondiremo il sistema dell’apprendistato professionalizzante ed i suoi benefici economici e normativi e parleremo degli obblighi datoriali durante il periodo emergenziale: quali i rischi e le azioni da intraprendere per contrastarli.
Per iscrizioni: http://bit.ly/3buPGux

Il Sole 24 Ore – SOS giovani: Italia ultima in Europa, deserto al Sud.

Scarica l’articolo – 22.02.2021 SOS giovani Italia Ultima in Europa deserto al Sud.

PARI OPPORTUNITÀ, AL VIA CONSULTAZIONE PUBBLICA DEL CNEL.

Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ha varato una consultazione pubblica sulla parità di genere con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulla condizione della donna in Italia.

L’iniziativa, approvata dall’Assemblea nella seduta del 28 ottobre scorso, su proposta del Forum italiano per le pari opportunità istituito al CNEL, è svolta sulla base dell’articolo 10 del Regolamento degli Organi del CNEL ed è realizzata in collaborazione con i Ministeri del Lavoro e delle politiche socialidell’Istruzione e dell’Università e della Ricerca intende raccogliere il parere delle cittadine e dei cittadini italiani sulle diseguaglianze di genere in Italia.

In Italia la condizione della donna nel mondo del lavoro è penalizzata dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che spinge in basso (49,7% dato ISTAT, contro il 60,4% Ue) la quota dell’occupazione femminile fra i 15 e i 64 anni e che induce il 27% delle donne madri ad abbandonare la propria occupazione alla nascita del figlio. Un dato salito al 38% con la pandemia (addirittura il 43% se con figli fino a 5 anni). Esiste ancora un elevato divario di genere in termini di lavoro non retribuito (nel quale le donne spendono in media 4 ore e 15 minuti al giorno, contro 2 ore e 16 minuti degli uomini).

Le consultazioni pubbliche del CNEL rivestono un elevato valore di partecipazione dei cittadini e assumono per il Consiglio la natura di atto istruttorio di particolare rilievo, quale elemento di valutazione per successive deliberazioni dell’Assemblea e l’iniziativa legislativa.

Sin dalla sua istituzione il CNEL ha dedicato grande attenzione alla parità di genere e ha contribuito, spesso in maniera determinante, all’elaborazione dei principali provvedimenti normativi di genere degli ultimi 50 anni tra cui, ad esempio, la “Disciplina legislativa del divieto di licenziamento delle lavoratrici a causa di matrimonio” (1962); quello sulla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, dal divieto di licenziamento causa matrimonio del (1963); la legge Golfo-Mosca sull’equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione (2011). Molti anche i dossier e i rapporti nazionali, tra questi vale la pena ricordare il Rapporto sui percorsi professionali delle donne (1992). Nel 2019 il CNEL ha presentato il disegno su “Modifiche all’articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale” e ha costituito il Forum permanente sulle pari opportunità”, ha dichiarato la vicepresidente CNEL Gianna Fracassi, coordinatrice del Forum.

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