L’Europa, i fondi del Recovery Fund: (E ai giovani chi ci pensa?).

DOPO IL RECOVERY FUND

L’Europa, i fondi del Recovery Fund: (E ai giovani chi ci pensa?)

Della vita di Antonio Serra, economista vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, sappiamo ben poco. Sergio Ricossa, in un delizioso libretto ( Cento trame di classici dell’economia , Rizzoli), ipotizzava che per scrivere il suo Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro e d’argento dove non sono miniere , Serra si fosse avvalso della sua grande personale esperienza monetaria. Di falsario. Il Trattato fu scritto in prigione, dove probabilmente era tenuto per ragioni politiche. La sua lezione, contraria al mercantilismo imperante dell’epoca, è di grande attualità. Il benessere è legato all’operosità dei popoli, non alla disponibilità momentanea di capitali. Le miniere sono l’impresa, il lavoro, la creazione di reddito. L’afflusso di oro e argento, successivo alla conquista dell’America, aveva impigrito le popolazioni dell’Europa meridionale, in particolare la Spagna, condannandole alla stagnazione, mentre nel resto d’Europa nasceva il capitalismo protestante. Serra, ricordava Ricossa, si opponeva all’eccessivo interventismo dello Stato e a manovre pubbliche «che mirassero a violentare il mercato».

Ora Serra non è certamente una lettura del premier olandese Rutte e degli esponenti dei Paesi frugali (che potrebbero approfittare per darci anche dei falsari) ma può aiutarci a riflettere un po’ di più sui nostri guai e sulle opportunità che abbiamo davanti. In primo luogo, non dovremmo considerare la grande massa di risorse che avremo a disposizione, grazie all’Unione europea, alla stregua di una cornucopia, di un tesoretto da suddividere per non scontentare nessuno. O peggio per risarcire tutti. Non solo dal Covid (e questo va bene) ma anche per errori e colpe che con il virus nulla c’entrano. Gran parte dei capitali che affluiranno saranno stati presi a debito, e quindi andranno restituiti.
Una parte del debito comune emesso dall’Ue – un sostanziale passo avanti nella costruzione solidale della Comunità – sarà ripagato con la cessione di base imponibile (esempio plastic tax e carbon tax), cioè con potenziali risorse future, anche italiane, messe a disposizione di tutti. Non ci sono dunque pasti gratis. Anche i grants hanno giustamente la loro condizionalità. Tutte le risorse di cui parliamo, in linea di principio e di fatto, appartengono alle prossime generazioni. E non a caso, il programma di investimenti da 750 miliardi, si chiama Next Generation Eu . Dunque, la prima cosa da evitare, è di cedere agli impulsi corporativi disseminati in tante dichiarazioni di questi giorni. E di non pensare che l’elevato ammontare delle risorse consenta di chiudere un occhio su cifre, anche piccole, che sembrano – a detta di chi le chiede – semplicemente indispensabili, irrinunciabili, giuste. E, soprattutto, trascurabili di fronte all’ammontare di 209 miliardi. «Che cosa volete che siano due miliardi se vi apprestate a riceverne cento volte in più?».

 

Questo ragionamento ci porterebbe dritti al disastro. Rischia di finanziare il passato, non l’investimento sul futuro. Salvaguardare per qualche tempo un’attività decotta, anziché promuoverne una che ha futuro. Trasferire reddito, non crearlo. Illudersi che lo Stato riesca dov’è fallita l’impresa privata. E un tale errore rappresenterebbe una sicura condanna per i nostri giovani, cioè dei nostri figli e nipoti che non possono minacciare blocchi delle città, non inscenano proteste contro questa o quella misura di politica economica. Non rappresentano una constituency elettorale. Contano zero.
In questa prospettiva anche ridurre il peso della tassazione sul lavoro, usando i fondi europei, è un non senso. Per evitare che scatti, insidiosa, la sindrome de li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere , va detto chiaramente che manovre di questo tipo vanno finanziate sul bilancio nazionale. Matteo Salvini, parlando in Senato dopo le comunicazioni del premier Conte sull’esito del vertice di Bruxelles, ha detto che i voti della Lega non mancheranno se il governo varerà la flat tax. «Se hanno trovato i soldi, 200 miliardi, la proposta di flat tax che per noi è fondamentale ne vale appena 13 miliardi». Dunque, che ci costa?

 

Il peggior danno alle prossime generazioni sarebbe tagliare le tasse in deficit, come purtroppo fatto nel passato da governi di destra e di sinistra, anche recentemente. Se si ritiene necessario riordinare la fiscalità, obiettivo assolutamente condivisibile, lo si faccia con i soldi di questa generazione e in un’ottica moderna. In linea con il Green new deal europeo che non è una spruzzata di «verde» sul solito modo di fare business, ma – come dice la Commissione europea – una nuova strategia di crescita. Per esempio, si dica quali spese inutili tagliare (ma chi ne parla più?) o come accelerare la diminuzione dei 19 miliardi annui di sussidi dannosi dal punto di vista ambientale che per legge vanno azzerati entro il 2025.

Se poi abbiamo davanti un’occasione storica, possibile che l’unico criterio da seguire sia quello di decidere in fretta? Il rischio reale è che la fretta sia una cattiva consigliera e si finisca per ascoltare troppo le istanze delle categorie. Tutte legittime, per carità, ma non tutte traducibili in un buon investimento per il futuro. L’importante è fare bene. I fondi europei verranno distribuiti nell’arco temporale tra il 2021 e il 2025. La qualità e la serietà dei progetti farà la differenza. E la deve fare soprattutto per le prossime generazioni. Dunque, l’analisi sull’impatto degli investimenti sul benessere futuro, sulla sostenibilità sociale e ambientale delle misure, saranno le prove più importanti da superare. Le regole per dichiarare accettabili i progetti sono giustamente stringenti. Prevedono una valutazione d’impatto ex ante sulle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile dei singoli progetti, mentre il loro contributo alla transizione ecologica e alla digitalizzazione è una precondizione per essere valutati.

 

Dunque, la politica dovrebbe discutere, prima di tutto, di come pensa di dotarsi di strumenti adatti per fare proposte sensate. Quali strutture pubbliche dovrebbero fare le valutazioni. Quali procedure si intendono seguire. In particolare, si dovrebbe decidere se adottare una valutazione dell’impatto intergenerazionale. Sarebbe una novità straordinaria, un incredibile salto di qualità del Paese. E dunque decidere di avviare finalmente la discussione sulla proposta di riforma costituzionale che giace in Parlamento per introdurre il principio dell’equità intergenerazionale alla base dello sviluppo sostenibile. Il presidente del Consiglio Conte aveva inserito il tema nel discorso programmatico per la fiducia del suo secondo governo. L’approvazione in prima lettura della legge costituzionale da parte del Senato entro la fine dell’anno sarebbe un segnale forte all’Italia, ma anche all’Europa. Una vera svolta.

 

Diciassette associazioni giovanili, attraverso futuranetwork.eu, hanno lanciato l’idea degli Stati generali dei giovani. «La pandemia – si legge nel loro documento – ha inasprito le disuguaglianze sociali e geografiche preesistenti. Al contempo, ci troviamo dinanzi una fase di transizione che presenta nuove opportunità che potrebbero, se sfruttate con lungimiranza e prontezza, riportare al centro dell’attenzione temi quali gli investimenti nella scuola e nella ricerca, l’occupazione giovanile, la necessità di uno sviluppo che si concentri sui temi della sostenibilità e dell’innovazione». Speriamo vengano ascoltati. Non sono una lobby. Non offrono in cambio dei voti, né relazioni di potere, ma solo l’impegno a cambiare l’Italia. Altri, loro coetanei, se ne sono semplicemente andati. Cercando altrove le miniere del loro futuro.