CIU-Unionquadri nella Commissione Nazionale Permanente per la Partecipazione Dei Lavoratori

Nella seduta del 24 luglio 2025 l’Assemblea del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) ha approvato ufficialmente la composizione della Commissione Nazionale Permanente per la partecipazione dei lavoratori, un organismo importante quanto strategico previsto dalla recente Legge 76/2025, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 26 maggio.

La Commissione avrà il compito di monitorare, promuovere e valutare le politiche e le pratiche di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, favorendo modelli innovativi di coinvolgimento attivo nella gestione e nei risultati aziendali, anche in un’ottica di sviluppo sostenibile e inclusivo.

Il commento della Presidente CIU-Unionquadri Gabriella Ancora:

«Siamo particolarmente onorati di poter far parte della Commissione Nazionale Permanente per la partecipazione dei lavoratori. La CIU-Unionquadri è da sempre in prima linea nel promuovere una rappresentanza evoluta e inclusiva, attenta alle esigenze delle professionalità elevate, dei quadri, dei ricercatori e dei professionisti. La partecipazione attiva a questa Commissione è coerente con la nostra missione di favorire sinergie professionali e costruire ponti tra pubblico e privato, tra subordinato e autonomo, tra Italia ed Europa. La nostra esperienza, anche nel CESE a Bruxelles, sarà messa al servizio di questo importante tavolo istituzionale per contribuire alla definizione di modelli partecipativi capaci di generare valore, coesione e innovazione».

CIU-Unionquadri e la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale

Parte l’attività di CIU-Unionquadri per sostenere la partecipazione dei lavoratori – quadri alla gestione aziendale.

È stata definitivamente approvata dal Senato la legge che prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle Aziende.

Nella seduta del 14 maggio 2025, il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva la legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, che disciplina la partecipazione gestionale, economica, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori nelle imprese.

Nel mondo del lavoro italiano, esiste già un modello aziendale presso la Lamborghini ispirato alla normativa tedesca in materia.

In data 12 maggio, CIU-Unionquadri, ha dato luogo ad una riunione per programmare una conseguente attività per contribuire all’attuazione della legge tenendo conto della funzione e della specificità dei quadri aziendali.

I quadri infatti possiedono quella conoscenza degli apparati aziendali nonché il rapporto diretto con il top management atti a sorreggere l’attuazione concreta della normativa destinata ad utilizzare i canali sindacali, ma anche quelli professionali interni all’azienda.

La nuova legge prevede diverse possibili forme di partecipazione, tra cui la partecipazione gestionale con l’inserimento dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle aziende dotate di un simile organo (articolo 2409 octies e seguenti del codice civile), oppure la partecipazione economico – finanziaria con distribuzione degli utili.

È prevista inoltre la possibilità di una partecipazione organizzativa coinvolgendo i lavoratori nelle decisioni relative alle varie fasi produttive ed organizzative della vita dell’impresa.

La partecipazione potrà inoltre essere di tipo consultivo mediante l’acquisizione ei pareri e proposte da parte dei lavoratori.

La partecipazione potrà anche avvenire con modalità stabilite nella contrattazione collettiva o a mezzo di enti bilaterali.

Presso il CNEL dove CIU-Unionquadriè rappresentato, è prevista una Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, composta da rappresentanti del CNEL, del Ministro del Lavoro e da esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (articolo 17 bis).

Per approfondire e verificare l’applicabilità di queste previsioni di legge, CIU-Unionquadri avvierà presso diverse aziende un’indagine conoscitiva cui seguirà un convegno di approfondimento sul piano politico e sindacale.

Fabio Petracci, Vice Presidente CIU-Unionquadri

Respirare bene per lavorare meglio: perché la qualità dell’aria indoor è una sfida urgente per le aziende

L’emergenza sanitaria degli ultimi anni ha reso ancora una volta evidente quanto gli ambienti chiusi in cui viviamo e lavoriamo incidano sulla nostra salute e come questo rapporto sia influenzato proprio dalla qualità dell’aria indoor. Ma se l’attenzione pubblica si concentra spesso sull’aria esterna, quella che respiriamo ogni giorno negli spazi chiusi – uffici, banche, poste, scuole, luoghi pubblici, centri commerciali, mezzi di trasporto– resta spesso sottovalutata come fonte di esposizione agli inquinanti. Eppure, è proprio lì che trascorriamo gran parte del nostro tempo. La qualità dell’aria indoor è oggi tra le più importanti questioni di salute pubblica, di produttività e persino di competitività, innovazione e sostenibilità.

Ne abbiamo parlato con Gaetano Settimo, coordinatore del Gruppo di Studio Nazionale Inquinamento Indoor dell’Istituto Superiore di Sanità, per fare il punto sulla situazione in Italia, sugli sviluppi a livello europeo e sul ruolo più forte che i quadri possono avere nel promuovere e rafforzare una nuova cultura della salubrità aziendale che rimetta al centro in modo significativo la qualità dell’aria indoor e valorizzazione la salute.

Perché oggi è importante parlare di qualità dell’aria indoor?

Oggi si stima che trascorriamo oltre il 90% del nostro tempo in ambienti chiusi: case, uffici, banche, poste, scuole, strutture sanitarie, centri commerciali, spazi pubblici, trasporti, luoghi di svago. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricorda che sono proprio questi i luoghi che definiscono la nostra salute. Gli ambienti indoor, infatti, possono ospitare numerose sorgenti di inquinamento: materiali da costruzione, arredi, finitura, prodotti per la pulizia, deodoranti per ambienti, o l’alta densità di persone. Gli inquinanti non sono solo chimici, ma anche biologici e fisici, e impattano sulla salute cardiovascolare, neurologica, respiratoria e oncologica. Parliamo quindi di un’emergenza silenziosa, che va affrontata con piani d’azione mirati, anche nei contesti aziendali.

Cosa si sta facendo a livello europeo?

L’Europa sta costruendo una strategia sempre più solida ed integrata sulla qualità dell’aria indoor, a partire dalla definizione di una governance istituzionale comune e da un rafforzamento di un pacchetto di misure sui criteri su materiali e prodotti immessi sul mercato. Il regolamento UE 305/2011, ad esempio, è stato aggiornato recentemente per garantire che i prodotti da costruzione immessi sul mercato rispettino tra i requisiti il contenimento delle emissioni di sostanze inquinanti da parte dei materiali da costruzione lungo tutto il loro ciclo di vita. Si lavora anche per integrare i principi dell’economia circolare e valutare la salubrità dei materiali riciclati.

Tuttavia, la vera forza propulsiva arriva dai grandi Paesi con una politica industriale avanzata, come Francia, e Germania, che hanno già elaborato normative e piani nazionali ambiziosi e influenzano le linee guida europee. In sostanza, l’Europa sta cercando di sintetizzare tutte queste esperienze in una posizione comune, che è di fatto una convergenza tra le visioni di Francia e Germania, i due motori principali delle politiche sulla qualità dell’aria indoor europee. L’obiettivo finale, anche in linea con il Green Deal, è costruire edifici non solo più efficienti energeticamente ma soprattutto più salubri, con benefici diretti per la salute delle persone.

Come è messo su questo tema il nostro Paese?

In Italia la spinta viene in larga parte dalla ricerca. Ad esempio, il nostro Gruppo di Studio Nazionale Inquinamento Indoor dell’ISS ha lavorato per colmare lacune culturali e normative (grazie ai nostri documenti è stata pubblicata la norma UNI 11976), cercando di mettere la qualità dell’aria indoor al centro delle valutazioni su edifici e ambienti di lavoro e garantire la elaborazione di piani di prevenzione primaria. Alcuni segnali positivi ci sono: il Decreto Legislativo del luglio 2022 ha introdotto la qualità dell’aria indoor come tema prioritario per le scuole facendo riferimento al Rapporto ISTISAN 20/3. Inoltre, nel recepimento della nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria outdoor, con il Ministero dell’Ambiente è stato previsto di lavorare per arrivare ad approccio integrato tra indoor e outdoor. Ma serve più sistematicità.

Quale ruolo possono giocare i quadri per creare maggiore sensibilità sul tema in azienda?

I quadri sono figure chiave: rappresentano l’interfaccia tra lavoratori e management. Possono influenzare processi, promuovere la formazione, fare le domande giuste per provare ad anticipare i rischi facendo riferimento a valori come salute, educazione ed occupazione. La pandemia ha accelerato la consapevolezza sull’importanza della qualità dell’aria: molte aziende hanno iniziato a investire in ambienti salubri. I quadri possono contribuire a consolidare questo percorso, fungendo da perni centrali per l’attuazione di nuove politiche aziendali e strumenti di valutazione del rischio, che vadano oltre l’adempimento formale e puntino a una reale tutela del benessere dei lavoratori.

Il futuro?

Il futuro è già iniziato. L’esperienza della pandemia ha mostrato chiaramente che la relazione tra salute e ambienti costruiti è cruciale. Le sfide climatiche – caldo estremo, ondate di freddo – renderanno gli ambienti indoor sempre più centrali. Dovranno essere progettati e gestiti per garantire comfort e sicurezza, ma soprattutto la salute del le persone. Non è solo un tema sanitario: è un’opportunità per innovare, migliorare la produttività, la competitività, l’innovazione e rendere le organizzazioni più preparate e resilienti alle nuove sfide. La qualità dell’aria indoor è ormai presente in quasi tutti i 17 obiettivi dell’Agenda 2030: non è più un dettaglio tecnico, ma una leva dello sviluppo sostenibile.

Le declaratorie contrattuali dei Quadri nel CCNL Lavoratori dei Porti (“Quadri delle Autorità portuali”),quella sottile linea rossa che le distingue dal “Primo livello” impiegatizio 

Con il presente contributo ho inteso affrontare per Unionquadri un tema che considero di grande attualità e ricorrenza, quello della domanda giudiziale di superiore inquadramento ed in particolare quello che – a volte – appare come una sottile linea rossa che delimita il perimetro tra la declaratoria contrattuale dei Quadri (art. 4.2) e la declaratoria contrattuale gerarchicamente sottostante, ovvero quella del primo livello (art. 4), così denominati nel CCNL Lavoratori dei Porti.

Ho preso spunto da una recente sentenza, che conosco bene per avere patrocinato nel relativo giudizio in difesa dell’appellata Autorità portuale. Si tratta della sentenza n. 1739 del 9 maggio 2025 della Corte di Appello di Roma, sezione lavoro.

Considerata la sede che ospita l’articolo, dopo l’esame processuale della sentenza, ritengo utile anticipare anche alcune implicazioni connesse alle citate declaratorie contrattuali, con ampia riserva di sviluppare nel prossimo futuro in modo più approfondito detto ultimo interessante profilo.   

La sentenza oggi in commento riguarda la domanda di un dipendente di “primo livello” dell’Autorità portuale X al superiore inquadramento di Quadro (livello Quadro A, o in subordine, livello Quadro B) come declinato dal CCNL Lavoratori dei Porti (art. 4 e ss).

In generale, va ricordato che un giudizio di superiore inquadramento (in particolare da primo livello a quadro) è un giudizio particolarmente gravoso perché impone al ricorrente, al fine dell’accoglimento della domanda, il rispetto di regole processuali e sostanziali molto rigide che spesso non superano il vaglio del Giudice, come si è verificato nella fattispecie in esame.

A fronte di ciò, d’altra parte, a monte, gioca un ruolo rilevante l’impostazione originaria che lo stesso CCNL di riferimento prevede nel declinare le declaratorie dei “Quadri” rispetto a quelle – per certi aspetti, molto simili- del “primo livello” direttamente sottostante nella piramide contrattuale.  

Il giudizio di primo grado

Preliminarmente, esaminiamo in sintesi i passaggi salienti che hanno portato il Giudice di secondo grado a respingere il ricorso del dipendente: con ricorso al Tribunale di competenza in funzione di giudice del lavoro, depositato in data ***, il Sig. X , dipendente di Autorità di sistema  portuale Y esponeva di lavorare alle dipendenze dell’Autorità di sistema portuale Y a far data dal ***., con inquadramento nel 1° livello del CCNL Porti e di aver svolto dal *** le superiori mansioni di Quadro, chiedendo l’accertamento del diritto ad essere inquadrato, in relazione alle mansioni svolte dal ***, nella categoria Quadro A o, in subordine, nella categoria Quadro B e la condanna dell’Autorità convenuta al pagamento delle conseguenti differenze retributive, da quantificarsi in separata sede. In subordine, ritenuta la riconducibilità delle mansioni espletate al livello Quadro A ovvero Quadro B, chiedeva la condanna di Autorità di sistema portuale Y al pagamento della retribuzione spettante per la categoria Quadro A o, in subordine, per la categoria Quadro B per il periodo di svolgimento delle mansioni superiori ovvero, in via ulteriormente gradata, anche ai sensi dell’art. 2041 c.c., al pagamento di una somma parametrata a quella dovuta per effetto dello svolgimento di dette mansioni da determinarsi anche in via equitativa.

Si costituiva l’Autorità di sistema portuale Y, eccependo preliminarmente il totale difetto di allegazione da parte del ricorrente, oltre e prima ancora del mancato assolvimento dell’onere probatorio, nonché il mancato rispetto del procedimento logico giuridico di raffronto tra l’attività effettivamente svolta dal ricorrente e le mansioni di quadro oggetto del CCNL, procedimento essenziale per fondare simile domanda giudiziale. 

In particolare, Tribunale – quindi il Giudice a quo – respingeva il ricorso.

Infatti, dal raffronto delle declaratorie contrattuali di riferimento, il Tribunale ha evinto un diverso grado di autonomia, professionalità e responsabilità che contraddistingue i Quadri rispetto ai lavoratori di I livello, imputando al ricorrente una scarsa allegazione circa appunto il grado di autonomia rivestito e la correlata assunzione di responsabilità. Ne ha fatto derivare dunque la inidoneità delle allegazioni istruttorie a dimostrare la riconducibilità delle mansioni espletate al superiore profilo rivendicato.

Il “giudizio di inquadramento mansionariale” secondo il Giudice a quo

In particolare, decisivo il passaggio del Tribunale in base al quale:“… il giudizio d’inquadramento mansionariale è il frutto di una valutazione di completa sovrapponibilità della prestazione lavorativa, resa in concreto, sulla previsione collettiva di riferimento, non può non essere censurato che nel ricorso introduttivo del giudizio non sono state neppure puntualmente descritte le concrete dinamiche relazionali intercorrenti tra il ricorrente ed i superiori gerarchici, con le inevitabili implicazioni in punto di prova del fatto costitutivo della domanda e con le inevitabili conseguenze ex art. 2697 cc”. Passaggio molto chiaro direi per comprendere il ragionamento del Giudice a quo.

La sentenza di appello

Andiamo alla sentenza di appello: avverso tale sentenza ha proposto tempestivo appello il Sig X formulando quattro motivi di censura: con il primo motivo egli deduceva l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha censurato il difetto di allegazione circa l’espletamento di mansioni riconducibili al livello di Quadro. L’appellante con il secondo motivo si doleva della mancata ammissione dei mezzi istruttori che avrebbero a suo dire permesso di dimostrare il tipo di attività effettivamente assegnate al Sig. X e per l’effetto comprovato il suo rivendicato diritto al superiore inquadramento.

Inoltre, con il terzo motivo, egli deduceva l’omessa valutazione della documentazione in atti rispetto ai vari profili caratterizzanti il suo ruolo di Quadro.

Da ultimo, con il quarto motivo, l’Appellante si lamentava per il rigetto della domanda di adeguamento retributivo, sull’assunto che egli avrebbe avuto diritto a percepire la retribuzione relativa all’attività svolta nel periodo in cui è stato adibito alle – asserite – mansioni superiori. Riteneva altresì che, comunque, avesse maturato il diritto al trattamento retributivo relativo alle attività lavorative come cristallizzate dall’ Accordo di II° Livello (da lui allegato), e quindi con riferimento alle c.d. “indennità lavoro portuale”; indennità strettamente connesse al contesto lavorativo.

L’Appellante quindi chiedeva la riforma della sentenza impugnata nei termini di cui sopra. 

Si è costituita in giudizio l’Autorità di sistema portuale Y, da me assistita, eccependo l’inammissibilità del gravame l’infondatezza nel merito dei motivi di appello. In subordine, ha reiterato l’eccezione di prescrizione. Quindi ha ribadito l’infondatezza della domanda di riconoscimento di “indennità di lavoro portuale” in quanto tale indennità viene corrisposta ai soli dipendenti incardinati nell’Ufficio lavoro portuale – e non ai dipendenti dell’Ufficio sicurezza sul lavoro, cui il Sig. X appartiene – sul solo presupposto del notevole numero di ore di straordinario (che l’accordo sindacale del 10.12.2008 fissa in 75-80 ore di straordinario al mese). Ha concluso chiedendo di dichiarare l’appello inammissibile ovvero rigettarlo nel merito.

Sostanzialmente riproponendo l’appellata gli argomenti difensivi di primo grado, come descritti sopra, come da sua originaria memoria: in effetti stante la impossibilità per l’Appellante di mutare le ragioni della domanda, nulla poteva mutare per l’appellata rispetto ai vizi radicali che affliggevano il ricorso originario. 

I motivi del rigetto

Il Giudice di secondo grado ha ricordato innanzitutto la necessità, per fondare simile domanda, di passare attraverso il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore dipendente che coinvolge tre fasi successive: l’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, l’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.

Spetta al Giudicante accertare “la natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori (Cass. L, Sentenza n. 26234 del 30/10/2008). Per chi invoca lo svolgimento di mansioni superiori non è sufficiente allegare i compiti svolti e le relative disposizioni contrattuali, perché occorre pur sempre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l’intensità dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito, trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale (cfr., per tutte, Cass. 21.5.2003, n. 8025).

Dunque: “..il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore ha l’onere di allegare (e poi di provare) gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente e con precisione con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto.”

Queste in sintesi le motivazioni molto chiare del rigetto della domanda.

Quali sono allora gli elementi fondamentali su cui soffermarsi?

La Corte ci ricorda pertanto come sia essenziale, in un giudizio per il riconoscimento di mansioni superiori, soffermarsi su alcuni elementi fondamentali:

“…la gradazione e l’intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale.”

Inoltre la pienezza dell’assegnazione alle mansioni più elevate, con “assunzione di responsabilità diretta e l’esercizio dell’autonomia e della iniziativa proprie della corrispondente qualifica riven- dicata (Cass. Sentenza n. 16200 del 10/07/2009).”

La Corte pertanto condivide e conferma le argomentazioni del Tribunale il quale correttamente aveva riportato per intero in sentenza la declaratoria di Quadro e quella di I livello evidenziandone le differenze.  Argomentazione, vale la pena ricordare, anticipate dalle difese dell’Autorità portuale appellata.

Interessante la precisazione della Corte di come l’Autorità Portuale Y, con la sua originaria memoria difensiva, non abbia contestato l’espletamento delle mansioni dedotte dal dipendente, bensì la riconducibilità delle stesse al superiore inquadramento rivendicato. Da ciò l’irrilevanza ai fini della decisione dell’ammissione dei mezzi istruttori su cui invece l’Appellante insisteva.                                                                                                                                                                                      Ma soprattutto il Giudice di appello rileva che  non è dato rinvenire, dall’elencazione delle mansioni contenuta nelle difese di primo grado, l’ampiezza dei poteri decisionali esercitati dal Sig. X, né è stato possibile evincere se lo stesso operasse in autonomia, in mancanza di linee di indirizzo,  oppure in forza di indirizzi di carattere generale -elementi che connotano il profilo di Quadro-,  oppure se, come invece previsto per il primo livello, egli abbia svolto gli incarichi con autonomia e poteri decisionali da esercitarsi nell’ambito delle direttive generali impartitegli dai superiori.

In conclusione

Da un punto di vista processuale:

per ritenersi fondata una domanda di superiore inquadramento, sono fondamentali specifiche e puntuali allegazioni sul grado di autonomia di cui godeva il dipendente nell’espletamento del suo incarico.

Né, d’altra parte, il livello di responsabilità e autonomia possono considerarsi enucleabili dalla documentazione allegata all’originario ricorso introduttivo: detta produzione infatti deve essere accompagnata dalle ragioni specifiche della stessa, occorrendo altresì sottolinearne il contenuto e la rilevanza. 

Da altro punto di vista, sotto l’aspetto della impostazione delle declaratorie contrattuali, tutta la descrizione che precede fornisce spunti molto utili per anticipare delle brevissimi e preliminari osservazioni, che, per motivi di spazio disponibile, dovranno meglio essere sviluppate in seguito:

Dall’esame delle due declaratorie contrattuali, quella di “Quadro A” e Quadro B rispetto a quella di “primo livello” (che, per chi non le conosce,  invito a leggere), in particolare dal raffronto tra le stesse, emerge come non appaia subito agevole per l’operatore del diritto (sia avvocato, giudice o altro) fissare un confine assolutamente certo tra i poteri e le attività che formano oggetto dei due diversi inquadramenti contrattuali.

Effettivamente, in particolare per noi avvocati difensori, ma credo di poter dire che lo stesso valga per i Giudici, a volte si è costretti a giocare sulle sfumature lessicali che contraddistinguono appunto le due declaratorie contrattuali.

Non vi è dubbio che il baricentro sia costituito dal grado di autonomia decisionale, e per dirla con la Corte dalla: “.. gradazione e l’intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale.” Ma detto grado di autonomia, proprio per la costruzione lessicale delle declaratorie, trova un suo limite proprio nella sua necessaria traduzione processuale ovvero essa non è sempre di agevole “dimostrazione” nel momento in cui ci si trova davanti ad una pretesa giudiziale.   

Nello specifico, ciò che fa la differenza tra le attività dei due profili contrattuali è, per dirla con la Corte di appello, la pienezza dell’assegnazione alle mansioni più elevate, con “assunzione di responsabilità diretta e l’esercizio dell’autonomia e della iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata (Cass. Sentenza n. 16200 del 10/07/2009).”

Ma allora, se la giurisprudenza fornisce, oramai da tempo, questo messaggio più o meno esplicito, forse, a monte appunto, in sede di contrattazione sindacale-datoriale, e quindi di redazione del CCNL, si possono trarre spunti interessanti proprio da detti messaggi giurisprudenziali per lavorare su un miglior affinamento dei perimetri delle citate declaratorie contrattuali.

In effetti, detta questione riguarda in generale tutte declaratorie contrattuali, con riferimento al quadro, verso il basso (quadro-primo livello), ma anche verso l’alto (quadro-dirigente), che si delineano all’insegna della famosa dimensione del grado delle rispettive autonomie e responsabilità.

Poiché questo secondo aspetto, oggetto dell’odierno esame, è evidentemente molto interessante, ma necessita anche di un adeguato approfondimento, mi riservo di svilupparlo in prossimo futuro.

Andrea Musti, Senior Associate presso Studio Ichino Brugnatelli e Associati, CNEL Componente Consulta lavoro autonomo e Professioni.

Sicurezza, responsabilità e nuove sfide digitali: il ruolo strategico dei quadri

Nel nuovo numero della nostra newsletter ospitiamo un’intervista con l’avvocato Vito Tirrito, esperto di diritto del lavoro e modelli organizzativi, con una lunga esperienza nel campo della sicurezza sul lavoro. Abbiamo parlato con lui delle principali criticità nei modelli di prevenzione, del ruolo dei quadri nella cultura della sicurezza e dell’impatto delle trasformazioni digitali.

Quali sono, secondo lei, le principali criticità nei modelli di prevenzione e sicurezza, soprattutto nelle aziende ad alta complessità tecnica o manageriale?

Il primo aspetto fondamentale è l’effettività dei ruoli. In ambito giuridico – dalle sentenze penali a quelle civili – si cerca sempre di comprendere chi abbia realmente la capacità di determinare o evitare un evento. Oggi si parla molto del modello organizzativo 231, che le imprese adottano per creare un sistema di prevenzione e, in parte, di tutela del datore di lavoro. Ma attenzione: se mal strutturato, questo modello può diventare una fonte di criticità.

Infatti, la 231 redistribuisce responsabilità verso i livelli intermedi: dirigenti, preposti, operatori. E spesso la contrattazione collettiva è carente su questi aspetti. Ci si concentra sugli elementi economici, trascurando il livello di responsabilità legato alla sicurezza. È ora di affrontare questi nodi già in sede contrattuale, riconoscendo che le aziende si muovono in una realtà sempre più complessa, dove la responsabilità è diffusa e serve chiarezza nei ruoli e nei poteri decisionali.

Quale ruolo possono e devono avere i quadri nella costruzione di una vera cultura della prevenzione?

I quadri devono essere sentinelle attive. Uno dei rischi principali è l’assuefazione: frequentare ogni giorno lo stesso ambiente porta a non vedere più i piccoli segnali di rischio. La sfida è mantenere la lucidità, aggiornarsi, analizzare i dati sugli infortuni e tradurli in azioni formative e informative.

I quadri devono fungere da ponte tra dirigenza e maestranze, soprattutto nei momenti di passaggio generazionale. Sono loro a garantire continuità, stabilità e cultura della sicurezza. Più le aziende sono complesse, più è importante il ruolo dei quadri come facilitatori del cambiamento e custodi della prevenzione quotidiana.

Oggi la sicurezza non è più solo fisica, ma anche digitale. Come si stanno organizzando le aziende per affrontare questa nuova criticità?

Mi piace usare una metafora: siamo passati dall’aratro al trattore, e ora al trattore guidato dall’intelligenza artificiale. All’inizio il rischio era quotidiano e fisico; poi meno frequente, ma più grave. Oggi, con il digitale, il rischio è sistemico.

L’eccessiva dipendenza dai sistemi digitali comporta incertezze profonde: se qualcosa sfugge al controllo, le conseguenze possono essere seriali e difficili da contenere. Inoltre, c’è il tema dello stress da iperconnessione e della gestione dei dati sensibili in ambienti sempre più automatizzati.

Le grandi aziende riescono spesso a dotarsi di strumenti avanzati ma le piccole e medie imprese rischiano di fare “mezzi passi” che aumentano l’esposizione ai rischi.

Il messaggio è chiaro: non basta introdurre il digitale, bisogna governarlo con consapevolezza e responsabilità.

CIU‑Unionquadri: serve una legge per riconoscere e tutelare il ruolo del DPO

Nell’epoca dei dati e della trasformazione digitale, la protezione delle informazioni personali è diventata una priorità per imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini. In questo contesto, la figura del Data Protection Officer (DPO) riveste un ruolo sempre più centrale. Tuttavia, nonostante le responsabilità attribuite dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR), il DPO continua a essere privo di una chiara regolamentazione nazionale che ne definisca requisiti, funzioni, tutele e percorsi professionali.

CIU‑Unionquadri è da tempo impegnata nel promuovere una proposta di legge che riconosca il DPO come una figura professionale autonoma, qualificata e indispensabile per garantire la corretta applicazione della normativa sulla privacy. L’obiettivo è superare l’attuale ambiguità normativa che, in assenza di criteri condivisi, espone le aziende a rischi e mina l’efficacia del ruolo.

La nostra organizzazione ritiene essenziale:

  • Definire standard minimi di competenza e formazione, con percorsi certificati e aggiornamento continuo;
  • Garantire l’indipendenza del DPO, evitando conflitti di interesse all’interno delle strutture organizzative;
  • Istituire un Albo professionale, che possa tutelare il valore della funzione e favorire il riconoscimento giuridico e contrattuale del ruolo;
  • Valorizzare il DPO come asset strategico per l’impresa, non solo come figura di compliance ma come garante dell’etica e dell’innovazione responsabile nell’uso dei dati.

In base a quanto emerso nella ricerca “Il ruolo del Data Protection Officer in Italia” promossa da CIU-Unionquadri e condotta da CESMAL, oltre il 95% delle aziende soggette all’obbligo di nomina ha già un DPO in carica. La maggior parte di essi è esterno all’organizzazione e proviene da percorsi giuridici, ma manca un quadro normativo che garantisca omogeneità e qualità. Il rischio è che, senza un riconoscimento chiaro, il ruolo venga svilito, trasformandosi in un mero adempimento formale.

CIU‑Unionquadri, anche attraverso il dialogo con istituzioni nazionali ed europee, intende portare avanti questa iniziativa con determinazione, perché è dalla qualità delle figure professionali come il DPO che passa una vera cultura della responsabilità digitale.

Per CIU, tutelare il DPO significa rafforzare la fiducia nei processi digitali, nelle imprese e nella pubblica amministrazione. Significa, soprattutto, dare dignità e futuro a una figura che, nella società dei dati, sarà sempre più decisiva.

Benessere in azienda e innovazione: CIU protagonista al tavolo istituzionale di Ambiente Lavoro

In occasione della Fiera Ambiente Lavoro, si è tenuto un tavolo istituzionale di grande rilievo sul tema del benessere in azienda, con l’obiettivo di riflettere sulle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e sul rapporto tra innovazione tecnologica e qualità della vita nelle imprese.

L’incontro ha visto la partecipazione di rappresentanti sindacali, esperti e professionisti, tra cui CIU – Unionquadri, che ha contribuito in maniera significativa al dibattito.

Gabriella Ancora e Marco Ancora, intervenuti per CIU, hanno evidenziato le criticità legate all’ingerenza dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali, sottolineando il rischio di disumanizzazione e perdita di competenze nei lavori intellettuali.

Durante i lavori, anche Alessandro Marmigi, Segretario regionale CIU Umbria, ha offerto un contributo tecnico prezioso, illustrando soluzioni organizzative capaci di coniugare produttività e benessere, con particolare attenzione al contesto delle PMI.

Il tavolo ha confermato l’urgenza di ripensare i modelli organizzativi per garantire sostenibilità, salute, inclusione e competitività, riaffermando il ruolo centrale della persona nel sistema produttivo.

CIU, da sempre attenta al valore del lavoro intellettuale, rinnova così il proprio impegno nella costruzione di un futuro del lavoro che metta al centro l’etica, la competenza e il benessere dei professionisti.

La conferma della Cassazione: no all’anticipazione mensile in busta paga del TFR

Prevenzione e consapevolezza: CIU al centro del dibattito sulla salute del futuro

La salute è un investimento, non una spesa. È questa la visione che CIU – Unionquadri ha ribadito con forza al convegno “L’età della salute: un viaggio che guarda all’Europa”, tenutosi a Roma presso la sede del Parlamento Europeo.

Il convegno – organizzato dal Centro europeo studi culturali (Cesc), Spazio Europa, Commissione europea, CIU – Unionquadri e dal Parlamento Europeo su iniziativa del consigliere CNEL e Vice Presidente CIU, Francesco Riva – è stato un’occasione per riflettere su quanto stile di vita e prevenzione siano determinanti non solo per il benessere individuale, ma per la sostenibilità dell’intero sistema sanitario.

Oggi, secondo i dati emersi, circa il 40% delle malattie può essere evitato. Un numero che dà la misura del potenziale trasformativo delle buone pratiche quotidiane – alimentazione equilibrata, attività fisica, salute mentale – e della partecipazione ai programmi di screening. Ma serve un cambio di passo culturale, prima ancora che medico.

Come ricordato da Gabriella Ancora, Presidente CIU e Francesco Riva, consigliere CNEL e Vice Presidente CIU, investire nella prevenzione non è solo una scelta sanitaria, ma una scelta civile; significa ridurre le disuguaglianze, migliorare la qualità della vita e alleggerire i costi collettivi. Per farlo servono politiche strutturali e una visione sistemica che metta al centro le persone, non solo i pazienti.

CIU, da sempre impegnata nella rappresentanza dei professionisti, promuova un approccio alla salute trasversale, che parte dal mondo del lavoro e arriva alla vita quotidiana, passando per scuola, comunità e spazi pubblici.

La Confederazione sostiene con convinzione il percorso tracciato dal documento “Promuoviamo il futuro”, che definisce 12 azioni concrete per migliorare la salute pubblica in ogni fase della vita. Perché la prevenzione non può essere delegata alla volontà individuale: è una strategia collettiva, un patto tra istituzioni, cittadini e territori.

CIU continuerà a promuovere con determinazione questi temi, portando la voce dei professionisti e delle lavoratrici e lavoratori in ogni contesto. Perché prevenire è vivere meglio.

Editoriale

Cari Lettori e Care Lettrici,

nasce oggi il nuovo Progetto di CIU-Unionquadri, la nostra prima Newsletter: Prospettive.

Come Confederazione Italiana di Unione delle Professioni Intellettuali CIU-Unionquadri, da 50 anni rappresentiamo gli interessi dei Quadri, dei Professionisti (dipendenti e liberi), dei Ricercatori e delle Professionalità medio-alte, sia a livello di persone fisiche sia a livello di associazioni.

Il nostro obiettivo è da sempre quello di diffondere la cultura delle “sinergie professionali”, incentivando la cooperazione ed il rafforzamento delle reti e delle competenze tra i lavoratori intellettuali.

Per questo motivo abbiamo deciso di creare uno strumento nuovo e innovativo, un compendio agile quanto funzionale sulle tematiche e sulle novità negli ambiti professionali, che consenta a tutti un aggiornamento facile e continuo.

Gabriella Ancora

Presidente CIU-Unionquadri