Se muore un Ambasciatore. L’esempio di Attanasio e il nodo della sicurezza.

di Patrizio  Fondi – Ambasciatore – Consigliere Comitato Scientifico CIU – Unionquadri.

«Proteggendo lei sentiamo di proteggere la nostra bandiera», mi dicevano le persone che si occupavano della mia sicurezza quando ero alla guida dell’Ambasciata d’Italia in Giordania. Ecco, in queste brevi e semplici parole è racchiusa la spiegazione dell’enorme emozione che sta suscitando in tutto il Paese la morte del nostro Ambasciatore nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, trucidato insieme a due altre vittime, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista locale Mustapha Milambo, a cui va egualmente un pensiero di dolente pietà. L’intera comunità nazionale, in una tale drammatica circostanza, si sente ferita nel profondo, per la forte valenza simbolica che la figura di un Ambasciatore incarna nell’immaginario collettivo. Ciascuno vive la ferita come un colpo personale alla propria identità di cittadino italiano, anche se non ha mai incontrato personalmente Luca o non ne ha mai sentito parlare prima.

Ancor più poi se l’identikit dell’Ambasciatore ucciso corrisponde a quello di un giovane 43enne entusiasta, solare, estremamente attivo ed incredibilmente empatico, come lo descrivono tutti i colleghi che hanno avuto a che fare con lui alla Farnesina o all’estero. In aggiunta, il valoroso collega lascia, oltre ai devastati genitori, tre bambine in tenera età e una consorte – Zakia Saddiki – a cui era legatissimo, conosciuta quando era Console Generale a Casablanca e che condivideva il suo impegno umanitario, tanto da aver fondato l’organizzazione filantropica Mama Sofia a favore delle donne africane.

Il lombardo, cattolico e “bocconiano” Attanasio apparteneva a quella categoria di diplomatici che abbracciano la carriera con uno spirito di servizio volto a privilegiare l’azione concreta in posti difficili rispetto ad incarichi più comodi in Paesi “normali”. Dopo aver servito in Svizzera, Marocco e Nigeria, avrebbe potuto legittimamente chiedere di essere assegnato ad una sede come Washington, Parigi o Londra, ma ha preferito proseguire ed approfondire la sua esperienza africana, perché’ sentiva – come diceva a tutti – che lì, in quel continente svantaggiato, poteva davvero contribuire a “fare la differenza”. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno… Il Ministero degli Esteri, dall’inizio del terzo millennio, ha intelligentemente inaugurato una politica del personale che nelle sedi particolarmente disagiate e problematiche non prevede più l’invio di Ambasciatori alle soglie della pensione, ma piuttosto giovani colleghi pieni di energie fresche e motivazioni ideali. Luca non si era fatto sfuggire questa occasione e aveva dato ottima prova di sé, fino ad essere insignito nel 2020 del “Premio Internazionale Nassirya per la Pace”, intitolato alla memoria dei militari italiani vittime dell’attentato in Iraq durante la missione “Antica Babilonia” del 2003 (il che ora suona come una tragica premonizione).

Le circostanze della morte non sono ancora del tutto chiare e sono in corso inchieste della magistratura italiana civile e militare, nonché’ indagini in loco con la collaborazione delle autorità congolesi, per appurare la dinamica dei fatti. La questione sicurezza rappresenta uno dei nodi più spinosi dell’attività diplomatica, soprattutto a partire dalla fine della guerra fredda e dalla diffusione delle moderne tecnologie di informazione, quando si è passati da un mondo pressoché interamente controllato da due superpotenze – Stati Uniti e Unione Sovietica – ad un contesto internazionale frammentato e gradualmente andato fuori controllo, dove la professione del diplomatico è diventata sempre più rischiosa. Prima, quasi tutti gli attori locali rispondevano all’uno o all’altro dei due potenti referenti, per cui l’imprevedibilità delle condotte era limitata, mentre ora il pianeta si è trasformato in una sorta di giungla dove hanno largo spazio le schegge impazzite. Da questo punto di vista, l’Africa è l’esempio più calzante, dato che in un ambiente caratterizzato da povertà, corruzione, degrado ecologico, traffici illeciti e indebito sfruttamento di risorse, proliferano – come pesci nell’acqua – gruppi armati di terroristi e criminali, i cui metodi di azione diventano sempre più simili e sempre più aggressivi.

Luca viveva e lavorava in una cornice di questo tipo e cercava di portare un po’ di solidarietà e luce italiana a quelle sfortunate popolazioni tramite le iniziative umanitarie e di cooperazione allo sviluppo, muovendosi con un’auto blindata e un carabiniere di scorta. Ma stavolta, dovendo recarsi in una località a 2500 chilometri dalla capitale Kinshasa per seguire un progetto realizzato con il Programma Alimentare Mondiale (PAM), ha dovuto affidare l’organizzazione del suo viaggio ai funzionari onusiani. A quanto pare, il convoglio con cui stava spostandosi in loco era composto da due autovetture non blindate e non scortate da uomini dell’esercito congolese o della forza ONU, ma solo da alcuni addetti alla sicurezza del PAM e dal carabiniere Iacovacci. Dalle prime dichiarazioni rese note, il PAM ha affermato che la strada utilizzata era considerata percorribile senza particolari precauzioni. Al riguardo, però, è legittimo esprimere il dubbio che ci sia stata qualche sottovalutazione del pericolo, sia perché la presenza di un Ambasciatore cambia radicalmente la situazione e dunque il livello di allerta da adottare (trattandosi di un bersaglio politico per eccellenza e di un elemento di scambio prezioso per chiedere un ingente riscatto), sia perché – essendo Luca già in zona dal giorno prima – la sua presenza poteva ovviamente essere notata facilmente, dando tutto il tempo di preparare un agguato. Il che purtroppo è puntualmente avvenuto, probabilmente da parte di una banda che voleva effettuare un rapimento a scopo di lucro e che ha poi assassinato gli ostaggi andando nel panico all’arrivo di alcune forze di polizia. O forse la morte è intervenuta a seguito dello scambio di fuoco tra rapitori e forze dell’ordine. Sembra meno verosimile il movente terroristico, data la mancanza di una rivendicazione in tal senso. Un sito giornalistico ha addirittura ventilato l’ipotesi di una vendetta contro l’Italia da parte di gruppi di ribelli hutu che si sarebbero sentiti esclusi dai vantaggi derivanti da presunti accordi intercorsi tra compagnie energetiche italiane e il Governo centrale congolese per lo sfruttamento di risorse petrolifere nella zona in cui operano. Ma qui entriamo nel campo delle speculazioni, per cui non ci resta che attendere gli sviluppi delle indagini.

Intanto, oltre ai messaggi di cordoglio da ogni parte del mondo, crescono le proposte di iniziative volte a mantenere viva la memoria del collega Attanasio (borse di studio intitolate al suo nome, dedica di una sala riunioni del Ministero, corsi di preparazione alla carriera diplomatica o di aggiornamento professionale recanti il suo nominativo, conferimento del titolo di “Alumnus Bocconi 2021”, medaglia al valor civile) e ad aiutare la famiglia, con particolare attenzione al sostegno degli studi delle figlie  tramite un “trust fund” sindacale.

Noi diplomatici siamo fieri di averlo avuto in carriera come nostro esemplare compagno di viaggio. Con un pensiero addolorato e solidale per i suoi famigliari e di quelli delle persone uccise insieme a lui, mi auguro che Luca – ovunque si trovi adesso – possa ritrovare quella serenità che ha generosamente sparso intorno a sé durante la sua vita, così breve eppure così ricca e positiva.

 

Patrizio Fondi è stato Ambasciatore d’Italia e dell’Unione europea.