Pubblichiamo l’intervista Huffpost al direttore Inail Sergio Iavicoli di Luciana Matarese.

“Per adattarsi, reingegnerizzare il lavoro”

“Fino al vaccino non si potrà tornare alla vita di gennaio”. Smart working, più turni e indici di rischio: così cambia il modo di lavorare nella fase 2. Intervista Huffpost al direttore Inail Sergio Iavicoli.

“Questo è il momento della cautela, ma nello stesso tempo dobbiamo prepararci a rimodulare le misure in vista della riapertura del Paese”, dice Sergio Iavicoli e ripete la parola “reingegnerizzare”. Proprio così: per il direttore del dipartimento di medicina, epidemiologia e igiene del lavoro e ambientale dell’Inail, per la fase 2, che si aprirà progressivamente dopo il lockdown, “bisogna reingegnerizzare il sistema, soprattutto il lavoro”. Operazione che potrà valorizzare anche alcuni aspetti positivi registrati in questa prima fase, come lo smart working, e passare attraverso una diversa organizzazione dell’orario di lavoro tenendo conto di tre dimensioni di rischio legati al contagio da Covid-19: prossimità, potenzialità di esposizione al rischio, aggregazione sociale.

Quali fabbriche, quali aziende e quando potranno riaprire “lo stabilirà il Governo”, puntualizza Iavicoli, componente del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile che sta fornendo all’esecutivo consulenza su dati del contagio e misure di prevenzione necessarie a fronteggiare la diffusione del coronavirus.

Dottor Iavicoli, il Paese riaprirà agli inizi di maggio?

“Una data certa non c’è. Il Governo vuole muoversi con  prudenza come finora fatto, tenendo presente l’andamento della curva epidemica  ed è giusto così. Se, in conseguenza dell’allentamento delle misure, si registrasse un innalzamento della curva, perderemmo tutti gli sforzi fatti. Questo è il momento della cautela, ma nello stesso tempo dobbiamo prepararci a rimodulare le misure in vista della riapertura del Paese, che significa una cosa ben precisa”.

Che cosa?

“Il controllo totale della situazione si potrà avere quando ci sarà il vaccino. Quindi “prepararsi” vuol dire assumere la consapevolezza che non si potrà tornare a fare la vita che facevamo a gennaio. Vuol dire “trovare un adattamento”, reingegnerizzare il sistema, anche il lavoro, cogliendo qualche spunto positivo che questo periodo ci lascerà”.

Vale a dire?

“Molti di noi si sono trovati a lavorare in smart working che, a differenza di quello che probabilmente pensava tanta gente, sta funzionando. Ovviamente, ci sono grandi complessità da affrontare nell’organizzazione del lavoro, a partire dalla necessità di formare adeguatamente il management. Dove è possibile praticarlo, il lavoro agile va rafforzato. È un’esperienza positiva, ma non va banalizzata, vanno programmati formazione e strumenti per supportarlo e garantendo un giusto equilibrio fra vita e lavoro.

Ora, però, la prima esigenza è lavorare su un terzo dei lavoratori, che sono sospesi – penso al settore manifatturiero, al commercio -, sui cosiddetti “lavori in presenza”. Credo che in vista della fase 2 si debba lavorare su un doppio binario: rafforzare dove è possibile lo smart working e, su un piano più generale, riprogrammare le modalità di svolgimento del lavoro, per esempio negli uffici, nelle aziende garantendo salute e sicurezza”.

Come si farà? 

“Le aziende devono fare la loro parte, ma ovviamente non devono essere lasciate sole. Si deve continuare a prevenire la diffusione del virus, per cui bisogna evitare prima di tutto gli assembramenti. Dunque si potrebbe pensare a finestre più ampie negli orari di entrata e uscita, con più turni. Il 14 marzo è stato firmato un protocollo d’intesa tra il Governo e le parti sociali, focalizzato sulle misure da adottare per garantire la salute e sicurezza ai lavoratori. Ecco, quello può essere un buon punto di partenza sul quale aziende e parti sociali possono impostare il lavoro da compiere. Ma da solo non basta, bisogna profilare per le differenti realtà lavorative”.

Di recente lei ha evidenziato la necessità di un piano di mobilità alternativo. Cosa intende di preciso, come lo immagina?

“Serve uno sforzo delle istituzioni e di tutti gli attori del settore per rimodulare anche il trasporto pubblico. Sui mezzi non dovranno esserci assembramenti, altrimenti si rischia di far riesplodere l’epidemia. Si potrebbero diversificare i modi per andare al lavoro e potenziare il trasporto pubblico in determinate fasce orarie, per evitare, ad esempio, gli affollamenti tipici delle ore di punta. Negli ambiti in cui si è continuato a lavorare durante il lockdown si sono adottate buone prassi che possono servire da riferimento”.

Per esempio?

“Le regole seguite nei supermercati per modulare gli accessi. Ma può essere utile anche una rimodulazione degli spazi negli uffici, nelle fabbriche. E poi, ovviamente, restano le regole, poche e semplici, seguite già durante il lockdown per i comportamenti individuali, già ampiamente diffuse, come l’igiene delle mani e il distanziamento sociale, riorientando in tal modo i propri stili di vita con senso di responsabilità”.

Nel piano di classificazione del rischio che il Cts sta elaborando sulla base di uno studio dell’Inail sono stati individuati tre livelli di rischio per le aziende. A che punto è lo studio?

“Si sta approfondendo il tema con attenzione. Tre i parametri di rischio: prossimità e cioè il distanziamento di almeno un metro da tenere tra le persone, la potenzialità di esposizione al virus nel contesto lavorativo e l’aggregazione sociale. Ecco, nella gestione dei rischi si deve ripensare il modello organizzativo, per far fronte a questi ulteriori, che si sono aggiunti ai rischi già esistenti. L’approccio per la riorganizzazione deve essere integrato. È evidente che non può esserci una soluzione univoca per ogni ambiente di lavoro. Anche perché la chiave di tutto sta in un principio ben preciso”.

Quale principio?

“Quello della responsabilizzazione, individuale e collettiva. In questo lockdown tutti noi abbiamo capito come approcciare il distanziamento sociale. E poi serve un modello di prevenzione partecipato. Domani, per esempio, come Inail presenteremo al pubblico un’attività di supporto per gli operatori sanitari su come gestire e prevenire il rischio di buon-out in relazione all’emergenza. Il tema dei rischi psicosociali è un punto molto importante da considerare. Dello stress, dello stigma, dell’isolamento vissuto da milioni di persone che da un giorno all’altro si sono trovati a vivere e lavorare in condizioni radicalmente diverse, in questa emergenza si è parlato poco”.

Dall’indagine sieroepidemiologica potranno venire indicazioni utili per capire chi potrà rientrare al lavoro?

Dall’indagine possono venirci informazioni utili che ci faranno comprendere elementi importanti sulla diffusione del contagio e anche in relazione al contesto lavorativo. Non mi piace parlare di “patente di immunità”. La questione non può essere banalizzata, né tantomeno risolta dicendo “chi risulta immune torna al lavoro”. Certo, i test sierologici validi potranno essere uno strumento utile anche per i medici competenti. Va ricordato che i lavoratori non sono tutti  esposti allo stesso livello di rischio, in Italia oltre 16 milioni di lavoratori sono soggetti a sorveglianza sanitaria e il medico competente può giocare un ruolo importante nella tutela dei lavoratori fragili come di quelli delle fasce di età più elevata”.

Tenendo presenti i parametri di rischio, si è detto, riapriranno prima le industrie e poi, per ultimi, bar e ristoranti, musei, teatri e cinema. La cultura, l’arte non sono priorità nella ripresa?

“L’ordine di priorità in base al quale verranno riaperti i vari settori verranno valutati con attenzione dal Governo, ponendo sempre al centro la salute dei cittadini come fatto finora. Parlare di profilo di rischio non vuol dire impedire, significa piuttosto riconoscere la necessità di un approccio adeguato alla complessità della situazione. Certo, è difficile che a stretto giro si possa pensare di partecipare a un grosso concerto. L’arte ha la stessa dignità di tutti i tipi di lavoro e in questa prima fase dell’epidemia sono nate tante belle forme d’arte. Anche per questo settore vanno ripensate soluzioni, che, come per molte aziende, potrebbero venire anche dalla tecnologia. L’innovazione tecnologica, l’automazione dei processi sono una risorsa importante per le aziende anche in questo contesto e in Inail abbiamo lavorato molto per favorire questi processi anche come risorsa per la salute e sicurezza”.

Intanto, riapriranno librerie e cartolerie.

“Questa decisione è un segnale importante di attenzione al complesso dei bisogni degli italiani”.

Le misure per la ripresa dovranno avere scala nazionale o si può anche pensare a misure differenziate nelle varie regioni?

“Credo che mantenere regole uniformi a livello nazionale sia fondamentale. Abbiamo visto quello che è successo con regole differenziate tra Nord e Sud. L’obiettivo deve essere sempre mantenere quanto più basso possibile l’indice R0 (l’indice di contagio, ndr). Ogni decisione che può andare in direzione opposta al perseguimento di tale scopo va evitata”.

Lei ha dichiarato che coniugare sicurezza e ritorno al lavoro è una sfida e che un aiuto alla riorganizzazione del lavoro per la ripresa potrebbe venire dalla tecnologia. Dieci giorni fa il sito dell’Inps è andato in crash per il sovraccarico di accessi per la richiesta del contributo da 600 euro. Siamo pronti alla sfida?

“Penso che possiamo farcela. Ho visto in questa prima fase di un’emergenza senza precedenti un senso di responsabilità, una disponibilità al confronto anche dai livelli internazionali e un’unione tra persone e Istituzioni mai vista prima. Non sarà facile, ma ce la possiamo fare”.

 

By Luciana Matarese Giornalista